Gazzetta di Reggio

Reggio

«Un pensiero per Giulia»

Ambra Prati
«Un pensiero per Giulia»

La madre di Juana Cecilia dopo la sentenza della Corte d’Appello. Inasprita la condanna a Mirko Genco: trent’anni e dieci mesi

22 novembre 2023
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Reggio Emilia «Questa sentenza non mi ridarà mia figlia, ma credo sia giusta e credo sia un bene per la comunità. Mando un abbraccio alla famiglia di Giulia e a tutte le persone che perdono una figlia o una sorella per colpa di un uomo che dice di amarle. Sono fatti che distruggono un’intera famiglia». Queste le parole usate da Dina, la madre di Juana Cecilia Hazana Loayza – vittima di uno dei femminicidi più terribili della cronaca recente di Reggio Emilia –, all’uscita della Corte d’Appello di Bologna, che ha incrementato la condanna a Mirko Genco da 29 anni e 3 mesi a 30 anni e 10 mesi, pur non stabilendo l’ergastolo.

«In questo momento sono preoccupata e triste per loro», ha aggiunto Dina rivolgendo un pensiero speciale ai familiari di Giulia Checchettin, la 22enne uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta. Poi, in riferimento all’assassino della figlia Juana Cecilia: «Nonostante la ferocia con cui ha ucciso mia figlia, io lo perdono – ha concluso – Ma la legge deve proteggere le donne».

Nella notte tra il 19 e il 20 novembre 2021 il parmense Genco, 26 anni, abusò sessualmente per due volte, strangolò e finì a coltellate Juana Cecilia, mamma di origini peruviane di 34 anni con la quale aveva avuto una breve relazione. Per procurarsi il coltello, rubò persino la borsetta con le chiavi della sua vittima, entrando nella casa dove dormivano la mamma e il figlio della 34enne. Un delitto che suscitò parecchie polemiche per la libertà di cui godeva Genco (condannato per stalking, 17 giorni prima di ucciderla gli fu concessa la sospensione della pena a patto di sottoporsi a un percorso di rieducazione che non cominciò mai) e per l’efferatezza dell’omicidio (il 26enne registrò con il cellulare un audio da quando prelevò Juana Cecilia in un locale del centro fino al soffocamento di lei). Come emerso durante le indagini e nel processo, Genco stesso è figlio di una vittima di femminicidio: sua madre fu massacrata di botte nel 2015, a 39 anni, nell’androne del palazzo a Parma dall’ex convivente.

Per l’uccisione di Juana Cecilia, il 4 marzo 2023 il processo di primo grado a Reggio si era concluso con una condanna a 29 anni e 3 mesi di carcere per omicidio volontario, porto abusivo d’arma, violenza sessuale, violazione di domicilio ed evasione. Ritenendo le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti il collegio aveva escluso l’ergastolo, che era invece stato richiesto dal pm Maria Rita Pantani. Sia la Procura sia la difesa (per motivi opposti, la prima per alzare la pena e la seconda per abbassarla) avevano fatto ricorso in Appello.

Ieri l’attesa udienza a Bologna è stata accompagnata dalle attiviste dell’associazione Nondasola, che hanno esibito uno striscione: «Giustizia per Juana Cecilia».

L’udienza si è aperta con i fari puntati su Genco, recluso nel carcere di Modena, che nelle dichiarazioni spontanee, leggendo un foglio scritto di suo pugno, ha chiesto perdono. «Chiedo perdono a Dio, perché a Cecilia non posso più chiederlo, ma soprattutto chiedo perdono a suo figlio: io so bene cosa significhi non avere una mamma – ha detto – So che dovrò passare molti anni in carcere. Spero di diventare un uomo migliore».

Nella requisitoria il procuratore generale Antonella Scandellari ha rinnovato la richiesta di ergastolo (ergastolo secco, senza i 18 mesi di isolamento proposti in primo grado) e chiesto una parziale riforma della condanna puntando su tre aspetti tecnici: l’assorbimento del tentativo di omicidio nel reato di omicidio consumato, il non riconoscimento delle attenuanti generiche e il reato di rapina.

Le numerose parti civili – l’avvocato Federico De Belvis per il figlio piccolo di Cecilia, l’avvocato Francesca Guazzi per il figlio dell’ex compagno della vittima, l’ avvocato Beatrice Stridi per il Comune di Reggio e l’avvocato Samuela Frigeri per Nondasola – si sono associate all’accusa. L’avvocato Giovanna Fava, per Dina parte civile, ha affondato sull’imputato: «Nessun pentimento da parte sua».

L’avvocato difensore di Genco, Vincenzo Belli, ha sostenuto la riduzione della pena al minimo edittale preservando le attenuanti generiche ed evidenziando «la piena confessione resa, il comportamento processuale, il percorso di vita» del suo assistito.

Dopo un’ora e mezza di camera di consiglio la Corte d’Assise d’Appello, (presieduta da Orazio Pescatore, consigliere relatore Anna Mori e la giuria popolare) ha emesso la sentenza: niente ergastolo bensì un ricalcolo che, mantenendo le attenuanti generiche equivalenti, aggiungendo il reato di rapina e abbassando quello di evasione, è arrivato al risultato finale di 30 anni e 10 mesi. Per il resto confermate le statuizioni delle parti civile: 200mila euro per Alessandro, 100mila per Dina, 40mila per Lorenzo, 20mila per il Comune e 7mila per Nondasola.  l

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