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Reggio Emilia, le mafie nell’era del digitale: «Sono sempre più tecnologiche»

Luca Giuseppe Murrone
Reggio Emilia, le mafie nell’era del digitale: «Sono sempre più tecnologiche»

L’esperto Antonio Nicaso e il nuovo libro scritto insieme al procuratore Gratteri

26 novembre 2023
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Reggio Emilia «Molte indagini dimostrano che gli ‘ndraghetisti non sono più scarsamente competenti. Ad esempio quando è stato arrestato Matteo Messina Denaro lui ha attribuito alla tecnologia il suo arresto». Ad affermarlo è lo storico delle mafie Antonio Nicaso. Ed è proprio la tecnologia che sta cambiando il volto della ‘ndrangheta. Lo sta facendo in Italia, in Europa, nel mondo e anche nel territorio reggiano. L’ultimo libro di Nicaso e del procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, dal titolo “Il Grifone. Come la tecnologia sta cambiando il volto della ‘ndrangheta” – edito da Mondadori – è l’ennesimo spunto di riflessione per capire gli sviluppi e i cambiamenti socio-culturali delle mafie.

Un libro che, nel giro di poche settimane dalla sua uscita su tutte le piattaforme di vendita e in libreria, ha scalato già le classifiche andandosi a posizionare nei primi posti dei libri più venduti in Italia. Ma a Reggio Emilia come si manifestano questi aspetti? Proprio lo scrittore e professore Antonio Nicaso, raggiunto dalla Gazzetta di Reggio, ha voluto rispondere a queste domande.

Professor Nicaso, anche a Reggio la tecnologia ha cambiato il volto della ‘ndrangheta?

«Se pensiamo a Grande Aracri, a tutti gli investimenti fatti sulle piattaforme clandestine, la capacità di alterare e di creare fideiussioni false, questo ci dà il senso di un’organizzazione criminale che oggi ha la possibilità di fare investimenti, riciclare denaro, grazie soprattutto alla tecnologia. È tutto un mondo che cambia. Il fatto che nel Crotonese, che può considerarsi terra di confine con Reggio Emilia, ci sia la possibilità di estrarre criptovalute è tutto un mondo che prima non avevamo mai immaginato».

Nel libro si parla, come facilmente intuibile, quindi, anche un po’ del territorio di Reggio Emilia?

«Sì. Si parla anche dei collaboratori di giustizia che sono stati dei testimoni chiave nel Processo Aemilia. Però si parla anche di “cristiani buoni”».

Chi sono questi “cristiani buoni”?

«Questa è un’espressione di Nicolino Grande Aracri. Lui ha bisogno di consulenze esterne, di professionisti, di gente capace di usare la tecnologia. Lui esattamente dice: “A me non servono i cristiani buoni a me servono le persone che mi aiutano ad investire soldi, a riciclare denaro, ad aprire porte, a creare sponde”. È questa la dimensione globale e lui è uno di quei personaggi che conosce la dimensione e ha interpretato bene la capacità relazionale della ‘ndrangheta capendo che, per avere successo, devi avere relazioni e le relazioni devono essere funzionali al potere».

A che punto è la presenza delle mafie sui social?

«È una situazione popolata da esponenti e simpatizzanti delle mafie ma non dalle mafie come organizzazioni. I camorristi sono quelli più presenti».

Secondo lei com’è ora la situazione a Reggio Emilia?

«Il processo Aemilia è una pietra miliare, ma nessuno pensa che il problema sia stato risolto grazie a quel processo. Hanno ripreso nuovamente ad operare. Io sono sempre stato dell’avviso che il processo è arrivato tardi rispetto ad altre regioni come la Liguria, Piemonte e Lombardia. Non basta un processo».

Sul monitorare, lei e Gratteri, già prima di inchieste giudiziarie, avevate puntato parecchio.

«Quando io dicevo che c’era una anomalia che ci segnalava Banca Italia che sosteneva un dato che, secondo me, non era da sottovalutare ovvero l’aumento dei depositi bancari nel frangente in cui entravano in crisi i settori vitali dell’economia, nessuno si è allarmato. Se vanno in crisi i settori dell’economia del Reggiano ma aumentano i depositi, ad esempio, c’è qualcosa che non va. In quel periodo è stato sottovalutato il problema».

Dopo il processo “loro” si sono già riorganizzati. Noi a che punto siamo?

«Loro sono sempre più pronti a raccogliere nuove sfide in bilico tra realtà analogica e virtualità digitale. È ormai la criminalità economica che conforma l’agire mafioso e non viceversa. Le mafie fanno le stesse cose che fa la criminalità economica. C’è un processo di normalizzazione. Per quanto riguarda “noi” bisogna continuare a tenere alta l’attenzione e non abbassare mai la guardia, in Italia, nel mondo e anche a Reggio Emilia». l

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