Gazzetta di Reggio

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Il delitto di Novellara

L’arringa delle difese: «La madre Nazia ha ucciso Saman, è lei la vera capofamiglia»

Jacopo Della Porta
L’arringa delle difese: «La madre Nazia ha ucciso Saman, è lei la vera capofamiglia»

Novellara, gli avvocati dei cugini e dello zio chiedono l’assoluzione e accusano i genitori: «La ragazza uccisa raccontava tante bugie, come suo fratello Alì Haider»

28 novembre 2023
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Novellara Non si può escludere che Saman sia stata uccisa dalla madre Nazia, del resto sarebbe lei la vera capofamiglia del clan Abbas, la donna che nella notte del primo maggio 2021 rientrava in casa con passo spedito dopo essere scomparsa nel buio con la figlia e nelle intercettazioni telefoniche successive non mostrava alcun tentennamento. In tribunale a Reggio Emilia sono iniziate le arringhe difensive. 

«Uccisa con un foulard»

L’avvocato Liborio Cataliotti, difensore dello zio Danish Hasnain, ha suggerito alla Corte quella che ritiene l’ipotesi più probabile, cioè la responsabilità della mamma. La procura avrebbe escluso questa ipotesi, a dire del legale, solo sulla base di un pregiudizio, consistente nell’idea che una madre non può fare una cosa del genere. Ma nel lasso di tempo che intercorre dal momento in cui madre e figlia escono dall’inquadratura delle telecamere dell’azienda Bartoli e il ritorno di Nazia da sola nel casolare, la donna avrebbe avuto tutto il tempo e la capacità di sopprimere la diciottenne. E a riprova di questo ha citato le risposte fornite in aula dalla perita Cristina Cattaneo circa i tempi necessari per uccidere una persona mediante strangolamento o strozzamento.

Cataliotti ha anche introdotto un elemento nuovo. Riferendosi al famoso video di quella notte, ha detto che emerge un dettaglio mai notato fino ad ora. Shabbar estrae qualcosa dalla tasca e lo dà alla moglie. «Potrebbe essere l’arma del delitto? Un foulard?».

Il collega Luigi Scarcella, difensore del cugino Nomanulhaq Nomanulhaq, ha riservato un altro passaggio all’imputata latitante. «Nazia è il capofamiglia, colei che reggeva la struttura familiare, la moglie non ha mai cedimenti. Qui il delitto patriarcale lo vedo un tantino forzato». E ancora. «Non è vero che il marito la maltrattava». Un’interpretazione originale rispetto alla narrazione consolidatasi in questi due anni e mezzo.

Scarcella ha detto di non credere alla tesi del delitto d’onore. «L’unico matrimonio forzato o meglio combinato che io vedo è quello tra la Procura, gli investigatori e questa ipotesi su ci si è fissati senza tentare mai di verificarla». Quando lo ha detto la sindaca di Novellara Elena Carletti è uscita dall’aula.  Secondo l’avvocato, «il problema vero erano le condotte generali di Saman che fuggiva sempre di casa».

Familiari contro

L’udienza ha mostrato, in modo evidente, l’esistenza di due fazioni tra gli imputati. Da una parte vi sono lo zio e i due cugini e dall’altra i genitori. «Tre innocenti contro due colpevoli», ha sintetizzato Cataliotti. Entrambe le toghe intervenute  – i legali dei genitori e del cugino Ikram Ijaz parleranno nell’udienza di martedì 30 novembre – sono state concordi nell’accusare Alì Haider, fratello di Saman, di aver mentito. Negano che possa aver visto quello che accade la notte del delitto, perché era troppo buio, e hanno messo in luce quelle che ritengono le continue contraddizioni del suo racconto. Contro di lui sono state usate parole molto dure – «bugiardo» la più ricorrente – è stata fatta ironia sulla sua «conversione ai valori occidentali» e a tratti qualche espressione è parsa sconfinare persino nel dileggio.

I legali hanno sostenuto che il testimone Haider è stato “imbeccato” dalla procura fin dall’inizio. Scarcella ha parlato di un sopralluogo che il ragazzo fece con le forze dell’ordine a Novellara, il 19 maggio, al quale fecero seguito, il 21 maggio, alcune dichiarazioni nelle quali parlò per la prima volta di uno scavo. Cataliotti si è invece soffermato sul primo interrogatorio nel quale, il 15 maggio, il ragazzo parlò. Nel verbale dell’interrogatorio si dà atto di una pausa di 59 minuti, alla quale fa seguito la volontà del fratello «di dire tutta la verità». L’avvocato di Nomanulhaq ha anche parlato più volte delle «bugie di Saman», sostenendo che spesso le diceva per sfuggire al comportamento impositivo del fidanzato Saqib. La toga ha tenuto a precisare che «il fatto che raccontasse bugie non toglie nulla che sia vittima di un barbaro omicidio».

In aula è andato in scena anche un duro scontro con la procura. Nella requisitoria il procuratore Calogero Gaetano Paci aveva riservato stoccate a tutti i difensori, tirando in ballo pure il collega di studio di Scarcella, l’avvocato Domenico Noris Bucchi, ex difensore di Danish. Scarcella ha negato in modo categorico che Bucchi abbia impedito allo zio di confessare. «Questo dato non è vero. La prima volta in cui apprendemmo della volontà di collaborare di Danish era il primo luglio e il 7 e il 13 abbiamo incontrato la procura». Incontri per rappresentare le richieste dello zio, che voleva intavolare una trattativa su queste basi: il ritrovamento del corpo in cambio dell’arrivo della moglie in Italia. 

Scarcella ha rivendicato con orgoglio il ruolo e le prerogative dei difensori. «Nessun ufficio si può permettere di mettere in discussione le scelte difensive fatte nel solo interesse dell'assistito». Riferendosi poi alle parole di Paci, ha detto che «la piattaforma indiscutibile e tecnicamente inattaccabile di cui ha parlato l’ufficio di Procura fornisce invece la prova piena della irresponsabilità dell’imputato, per il suo impianto illogico e contraddittorio». Per rendere «giustizia a Saman, un’indagine e un’istruttoria fatte bene, sarebbero state un ottimo viatico».

Movente culturale

Cataliotti ha sostenuto che a carico dello zio non esistono aggravanti e ha detto che la richiesta di pena della procura per l’omicidio, 28 anni, è tecnicamente sbagliata perché doveva essere di 24. 

Il difensore ha affrontato un punto che, sebbene rimasto un po’ sottotraccia nel processo, è destinato ad avere un peso nella letteratura specializzata. La pm Laura Galli ha contestato l’aggravante dei futili motivi, ma per il difensore se è stato un delitto d’onore, dunque culturalmente orientato, non si può considerare il movente futile.