Gazzetta di Reggio

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L’analisi

I social sono pro Palestina ma la tv tifa per Israele

Viola Vittoria Gaddi*
I social sono pro Palestina ma la tv tifa per Israele

Sul conflitto in Medio Oriente le opinioni sono polarizzate

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Reggio Emilia «Palestina libera», «Salvate la mia Palestina», «Viva la Palestina». Da semplici frasi si sono trasformate in vere e proprie “parole d’ordine” sociali, in standard per giudicare chi ha ragione e chi ha torto. Tutto ciò si inserisce nel complesso quadro su cui si fonda l’opinione pubblica riguardo al recente conflitto israelo-palestinese. Questa non è una guerra nuova per noi: è la “spada di Damocle” che minaccia il vicino Oriente da quasi cento anni. Ma è proprio l’esistenza dei social media ad aver dato una svolta al conflitto. L’uso libero delle piattaforme ha permesso a giornalisti, attivisti e persino politici di avvicinarsi ancora di più al pubblico e ha spianato un terreno fertile per la diffusione immediata di informazioni. Le testimonianze dal vivo dei reporter presenti durante gli attacchi e le immagini dei danni e delle vittime hanno suscitato empatia e indignazione in tutto il mondo, spingendo molti a prendere posizione e a esprimere solidarietà verso una delle parti coinvolte. «Le mie foto fanno il giro del mondo, ma i miei piedi non hanno potuto toccare la mia patria» scrive il giornalista palestinese Motaz Azaiza, divenuto oltremodo conosciuto per i suoi crudi scatti alle vittime causate dagli attacchi israeliani sulla Striscia di Gaza. Tuttavia, la frammentazione e la mancanza di contestualizzazione delle informazioni hanno portato anche ad un’interpretazione distorta e ad un’analisi selettiva dei fatti da parte di alcuni utenti: ci troviamo così tra due fazioni distinte, la prima sono i social media, con le mani tese verso la Palestina, e l’altra sono quelli che seguono le notizie in televisione. Da un lato, la Gaza oppressa e i suoi abitanti saccheggiati della loro terra da uno Stato considerato “illegittimo”, e dall’altro Israele, vittima di Hamas. È nata così una sorta di “guerra dell’informazione”, in cui la narrazione del conflitto è pesantemente influenzata dalla propaganda e dalla manipolazione delle informazioni da entrambe le parti, portando spesso a una percezione distorta della realtà, a un panorama di opinioni definibile quasi schizofrenico, dove mantenere una mente lucida e distaccata diventa sempre più difficile. Un altro grande impatto dei social media sulla guerra è dato dall’accelerazione della diplomazia pubblica e dalla conseguente pressione internazionale: gli utenti utilizzano queste piattaforme per esprimere le proprie critiche al governo, il ché porta a inevitabili interferenze politiche e a una serie di accesi dibattiti che polarizzano ancora di più le opinioni. In sintesi, l’impatto dei social media nella guerra israelo-palestinese ha amplificato le voci individuali, contribuito ad aumentare la visibilità del conflitto a livello globale e ha svolto un ruolo nel plasmare l’opinione pubblica. Tuttavia, la velocità e la mancanza di verifica delle informazioni ha alimentato polemiche che richiedono un approccio critico nell’interpretare ciò che circola online, riconoscendo la complessità del conflitto e la necessità di un dialogo costruttivo verso soluzioni sostenibili.

*Studentessa del liceo Moro