I social sono pro Palestina ma la tv tifa per Israele
Sul conflitto in Medio Oriente le opinioni sono polarizzate
Reggio Emilia «Palestina libera», «Salvate la mia Palestina», «Viva la Palestina». Da semplici frasi si sono trasformate in vere e proprie “parole d’ordine” sociali, in standard per giudicare chi ha ragione e chi ha torto. Tutto ciò si inserisce nel complesso quadro su cui si fonda l’opinione pubblica riguardo al recente conflitto israelo-palestinese. Questa non è una guerra nuova per noi: è la “spada di Damocle” che minaccia il vicino Oriente da quasi cento anni. Ma è proprio l’esistenza dei social media ad aver dato una svolta al conflitto. L’uso libero delle piattaforme ha permesso a giornalisti, attivisti e persino politici di avvicinarsi ancora di più al pubblico e ha spianato un terreno fertile per la diffusione immediata di informazioni. Le testimonianze dal vivo dei reporter presenti durante gli attacchi e le immagini dei danni e delle vittime hanno suscitato empatia e indignazione in tutto il mondo, spingendo molti a prendere posizione e a esprimere solidarietà verso una delle parti coinvolte. «Le mie foto fanno il giro del mondo, ma i miei piedi non hanno potuto toccare la mia patria» scrive il giornalista palestinese Motaz Azaiza, divenuto oltremodo conosciuto per i suoi crudi scatti alle vittime causate dagli attacchi israeliani sulla Striscia di Gaza. Tuttavia, la frammentazione e la mancanza di contestualizzazione delle informazioni hanno portato anche ad un’interpretazione distorta e ad un’analisi selettiva dei fatti da parte di alcuni utenti: ci troviamo così tra due fazioni distinte, la prima sono i social media, con le mani tese verso la Palestina, e l’altra sono quelli che seguono le notizie in televisione. Da un lato, la Gaza oppressa e i suoi abitanti saccheggiati della loro terra da uno Stato considerato “illegittimo”, e dall’altro Israele, vittima di Hamas. È nata così una sorta di “guerra dell’informazione”, in cui la narrazione del conflitto è pesantemente influenzata dalla propaganda e dalla manipolazione delle informazioni da entrambe le parti, portando spesso a una percezione distorta della realtà, a un panorama di opinioni definibile quasi schizofrenico, dove mantenere una mente lucida e distaccata diventa sempre più difficile. Un altro grande impatto dei social media sulla guerra è dato dall’accelerazione della diplomazia pubblica e dalla conseguente pressione internazionale: gli utenti utilizzano queste piattaforme per esprimere le proprie critiche al governo, il ché porta a inevitabili interferenze politiche e a una serie di accesi dibattiti che polarizzano ancora di più le opinioni. In sintesi, l’impatto dei social media nella guerra israelo-palestinese ha amplificato le voci individuali, contribuito ad aumentare la visibilità del conflitto a livello globale e ha svolto un ruolo nel plasmare l’opinione pubblica. Tuttavia, la velocità e la mancanza di verifica delle informazioni ha alimentato polemiche che richiedono un approccio critico nell’interpretare ciò che circola online, riconoscendo la complessità del conflitto e la necessità di un dialogo costruttivo verso soluzioni sostenibili.
*Studentessa del liceo Moro