Gazzetta di Reggio

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L’editoriale

Sicurezza, subito un segnale

Cristiano Meoni
Sicurezza, subito un segnale

Non è un’esclusiva di Reggio Emilia la rabbia sociale che si unisce alla violenza gratuita e si manifesta in devastazioni urbane ma questo non consola, anzi preoccupa ancor di più

02 gennaio 2024
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Cosa vuoi che siano un centinaio di giovani che corrono, urlano, bevono, tirano petardi, spaventano i passanti e spaccano gli arredi per ore di seguito? Intanto i reggiani li scansano: meglio stare lontani. Intanto loro, gli altri, si sentono padroni: “Questa è zona nostra”.

Padroni in casa tua, in un luogo simbolo della città. Intanto anche una sfortunata e beffarda coincidenza: a 200 metri di distanza, in piazza Prampolini, ecco la festa ufficiale con le autorità sorridenti, super presidiata dalle forze dell’ordine, mentre loro all’isolato San Rocco scorrazzano e indisturbati terrorizzano i passanti. Nello stesso luogo, qualche settimana fa, erano volati i tavolini. Musica a palla, parole grosse, vandalismi, spaccio.

Abbiamo pubblicato qualche settimana fa una lettera di Andrea Paolella, un docente universitario, intrisa di amore e di sconforto. Amore per Reggio, sconforto per come l’ha ritrovata quando ha deciso di tornarvi ad abitare. Ieri abbiamo scritto di una famiglia che, arrivata alla stazione per passare il Capodanno in città, spaventata dai balordi della zona se l’è filata a gambe levate: «A Reggio mai più».

Non è un’esclusiva di Reggio Emilia la rabbia sociale che si unisce alla violenza gratuita e si manifesta in devastazioni urbane. Milano, Molfetta, Quarto Oggiaro, Taranto hanno avuto notti di San Silvestro più agitate, con auto rovesciate e cassonetti in fiamme. Ma questo non deve consolare, semmai allarmare perché periferie e città tendono a incendiarsi sempre più sotto la pressione delle crescenti disparità, di reddito e di opportunità. E l’incalzante spinta migratoria non aiuta. «Arrivano, stanno qualche giorno senza far niente nei centri d’accoglienza e poi iniziano a guadagnarsi da vivere come possono, spacciando, rubacchiando», così mi ha detto un influente personaggio che conosce bene la situazione delle città emiliane.

La paura, sì: non dobbiamo aver paura di parlarne. Quando i cittadini iniziano a sentirsi estranei e insicuri in casa propria, quando preferiscono non uscire la notte del 31 perché “fuori è pericoloso”, quando evitano accuratamente certe strade, quando tua figlia o tua moglie si allontanano da sole in città e tu non sei tranquillo, è un problema. Quando il sindaco non sente il bisogno di prendere pubblicamente posizione il giorno dopo, magari perché pensa che la realtà sia diversa dalla percezione e che tutto si riduce a quindici persone disturbate, anche questo è un problema. La percezione altro non è che la lettura dei dati di realtà che ciascuno fa secondo la propria sensibilità, considerarla è Politica con la P maiuscola.

Essendo direttore di questo giornale solo da luglio, e venendo da fuori, ho molti handicap ma anche il vantaggio di vedere Reggio Emilia con occhi puri, magari ingenui, ma non filtrati da pregiudizi: una città che si butta via, che butta via gli straordinari risultati che negli anni ha conseguito con il lavoro, l’afflato sociale, la forza della comunità, perdendosi in pochi ma significativi scivoloni: il centro storico che si spopola di negozi, i parchi dello spaccio e delle violenze che dobbiamo raccontare ogni giorno, il “buco” nero della stazione, che non è esattamente un bel biglietto da visita per chi arriva.

I segnali non bastano, ma sono utili per cominciare. E oggi un segnale bisogna darlo, alla città spaurita, arrabbiata, minata nella propria certezza di essere un esempio per il Paese con le sue eccellenze sociali ed economiche: si metta un presidio di polizia fisso, nella piazza, a scopo deterrente. Nel 2016, dopo il delitto di via Nacchi, fu messo e l’estate filò via tranquilla. Certo, non è la Panacea: i “ragazzi” continueranno ad essere “arrabbiati” e sposteranno la loro rabbia da un’altra parte. Ma magari, parlandoci con quei ragazzi, quasi sempre stranieri ma di seconda generazione, e facendogli vedere che uno Stato c’è, riusciremo a convincerli che Reggio è anche cosa loro e che devono rispettarla. L’unica cosa da evitare è non far niente sperando che tutto passi.