Gazzetta di Reggio

Reggio

I dati

Grande fuga dall’ora di religione: uno studente su quattro la rifiuta

Luciano Salsi
Grande fuga dall’ora di religione: uno studente su quattro la rifiuta

A Reggio Emilia: il 27,45% dei ragazzi non si avvale dell’insegnamento nelle scuole. È una delle percentuali più alte d’Italia, quasi il doppio della media nazionale

15 gennaio 2024
4 MINUTI DI LETTURA







Reggio Emilia Nelle scuole statali italiane cresce il numero degli alunni e degli studenti che non s'avvalgono dell'insegnamento della religione. La nostra provincia è fra quelle che ne contano una percentuale fra le più alte, il 27,45%, pari alla media regionale e molto superiore al dato nazionale, che pure è salito al 15,5% dal 14,07% di due anni fa. Ne dà notizia con soddisfazione l'Unione degli atei e agnostici razionalisti, che è stata fondata nel 1991 a Padova e da allora si batte contro la conservazione di questa disciplina scolastica, non più obbligatoria dal 1984, quando fu sottoscritto il nuovo concordato fra lo Stato e la Chiesa cattolica. Il ministero dell'Istruzione non forniva dal 2013 le cifre dei non avvalentisi, ma l'Uaar li ha richiesti e ottenuti in maniera dettagliata.


Ne risulta il permanere di un grande divario fra le regioni del Centro Nord e quelle del Sud, dove la grande maggioranza degli alunni continua a frequentare ogni settimana l’ora di religione. Nella Valle d'Aosta non se ne avvale il 30,74%, in Toscana il 27,12%. All'estremo opposto si trovano Basilicata (2,98%), Campania (3,11%), Calabria (3,41%), Puglia (3,67%), Molise (3,87%) e Sicilia (4,57%). Nelle province più restie la quota supera il 30%. Arriva al 37,92% a Firenze, al 36,31% a Bologna, al 33,37% a Trieste, al 33,19% a Prato, al 32,51% a Gorizia e al 30,74% ad Aosta.

In Emilia Romagna dopo Bologna si collocano Modena (29,52%), Ravenna (28,10%), Reggio Emlia, Ferrara (26,71%), Piacenza (26,23%), Parma (23,37%), Forlì-Cesena (19,64%) e Rimini (15,62%). A livello nazionale sono gli istituti professionali a presentare il maggior numero di non avvalentisi (25,52%). Seguono gli istituti tecnici (23,87%) e infine i licei (17,51%).



La differenza dipende non tanto dal grado di convinzione religiosa dei discenti, quanto dal loro interesse per gli aspetti culturali di questa materia. Il campione assoluto di laicità è l’Ipsia Olivetti di Ivrea (To), con 86 non avvalentisi su 95. Tra i licei si colloca in vetta l’Agnoletti di Sesto Fiorentino, con l’80,41%, fra gli istituti tecnici il Sassetti-Peruzzi di Firenze con l'85,66%, tra le primarie la Leonardo da Vinci di Ancona (83,50%), tra le medie inferiori la Rodari di Torre Pellice (To) con l'84,7%, tra le scuole dell'infanzia la Idria di Comiso (Ragusa) con l'87,50%. Nella fascia dell'obbligo le scelte dei genitori sono suggerite soprattutto da una domanda educativa. Perciò l'esclusione dell'insegnamento religioso cala al 14,67% nella secondaria di primo grado, all'11,74% nella primaria e all'11,3% nella scuola dell’infanzia.

«I numeri – osserva Loris Tissino, che ha elaborato i dati per conto dell'Uaar – sarebbero ancora più alti se avessimo utilizzato i dati ministeriali così come forniti, ma abbiamo prudenzialmente escluso circa il 6% delle scuole perché mostravano fluttuazioni anomale nelle percentuali di non avvalentisi da un anno all’altro». Le percentuali, invece, si abbasserebbero se venissero prese in considerazione le scuole private, paritarie e non, che sono perlopiù gestite da parrocchie o ordini religiosi.

«Le cifre – commenta Roberto Grendene, segretario dell'Uaar – mostrano una richiesta sempre crescente di scuola laica. Una buona novella con cui iniziare questo 2024». Il messaggio è rivolto specificamente alle famiglie tenute, fra il 18 gennaio e il 10 febbraio, ad iscrivere i figli per il prossimo anno scolastico 2024-2025. La scuola può essere scelta anche in base al fatto che per la prima volta sono disponibili le cifre dei non avvalentisi relative ai singoli istituti.

«Pensiamo – sottolinea Grendene – che ciò possa essere utile ai genitori, i quali spesso nutrono il timore che i propri figli siano gli unici a non avvalersi, rischiando dunque di ritrovarsi soli». L'insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali fu abolito dal 1870, quando venne presa Roma, con l'eccezione che fosse specificamente richiesto dai comuni e addossato a loro carico. Le cose cambiarono con il fascismo al potere. Tale disciplina fu reintrodotta in una veste confessionale nel 1923, durante il primo governo di Benito Mussolini, con la riforma della scuola architettata da Giovanni Gentile. Allora se ne prescrisse l'obbligatorietà alle elementari, ma se ne garantì l'esonero a chi professava altre fedi, sostanzialmente agli ebrei. Il Concordato del 1929 estese l'obbligo alle scuole medie e superiori, formalizzando l’insegnamento della religione come «fondamento e coronamento di tutta l’istruzione pubblica».