Gazzetta di Reggio

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La rubrica “Ora parlo io”

La moda che cancella l’unicità «Leopardi ne sarebbe turbato»

Giulia Cremonesi*
La moda che cancella l’unicità «Leopardi ne sarebbe turbato»

A scuola la divisa non è prevista ma gli studenti sono vestiti uguali

23 gennaio 2024
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Ormai più di 200 anni fa il pensatore “inattuale” (per utilizzare una celebre formula del filosofo Nietzsche) Giacomo Leopardi nelle Operette Morali ironizzava sulle convenzioni sociali di cui i suoi contemporanei erano vittime e sulla sorte dei comuni mortali che vivono convinti d’essere liberi quando invece stanno al gioco di Moda e Morte, entrambe figlie della caducità e simboli della vacuità e del culto dell’apparenza e del consumismo (già presente ai tempi del poeta, anche se in forma embrionale).

Il secolo di Morte e Moda

Se Leopardi potesse vedere il mondo d’oggi probabilmente ne sarebbe turbato. Difatti è il nostro, e non quello in cui il poeta viveva, il “secolo della Morte”, perché oggi più che mai la vita stessa, per il rispetto del corpo come dell’animo, è più morta che viva. Noi uomini e donne del ventunesimo secolo, svuotati dei valori ideali perché troppo lenti e complessi da comprendere nell’immediato, viviamo in base alla moda più di tutti i nostri predecessori. L’aspetto esteriore d’una persona è sempre stato, sin dall’alba dei tempi, un riflesso dell’individuo in sé. Secoli fa, come oggi, presentare una caratteristica peculiare legava qualcuno a una sfera d’interessi specifica che, nella maggior parte dei casi, impediva di incontrare la maggioranza delle persone poiché il dettaglio comunicava già una diversità che allontanava e divideva. Tale concetto è ora esasperato nella realtà tanto più che nel virtuale perché la vita delle persone, ridotta sempre più a bolle di interesse, non prevede la possibilità e la disponibilità a conoscere ed ascoltare l’altro. Pertanto se una persona condivide tutta se stessa in modo immediato ed assoluto attira immediatamente il simile e scarta a priori il dissimile, risparmiando perdite di tempo e rifiuti che sembrano essere le pene più terribili del nostro tempo.

La pelle come abito

È forse per questo che la pelle diventa sempre più l’unico vestito del corpo umano? L’unico sottile confine tra intimità ed esterno? Essa è più appetibile come vestito perché per le aziende costituisce un risparmio, per il clima diventa sempre più una necessità fisiologica e per l’occhio è spesso motivo d’interesse che altrimenti resterebbe sopito sotto coltri di tessuto e parole non dette. Essa è più immediata d’uno slogan fatto di cotone sintetico colorato, tuttavia è troppo intima per essere considerata adeguata: esponendola al mondo lediamo il diritto altrui di non volerci conoscere, di rimanere estranei. La pelle è pratica come abito perché le mode d’oggi sono così rapide che risulta più vantaggioso rimanere nudi piuttosto che demodé. Molti stili sono così veloci che occupano solo qualche miliardo di byte e non fanno in tempo a prendere forma sull’analogico che per il digitale sono già morti e sepolti. Questo, spesso e volentieri, è colpa dei grandi marchi che, sempre attenti ai trend, inglobano nel mercato qualsiasi cosa che possa essere venduta, cancellando la possibilità e, alla lunga, il desiderio di poter essere unici e controcorrente. Basti pensare al punk che da simbolo dell’anarchia e dell’opposizione al consumismo è oramai ridotto ad un settore di svariati miliardi di dollari, spesso erroneamente confuso con l’emo o il goth.

L’uniforme a scuola c’è

Eppure, nonostante la miriade di stili possibili ed il continuo proliferare di nuove mode, nella vita di tutti i giorni non compare neanche la metà della creatività che esiste online. L’esempio più accessibile è l’ora di punta davanti agli istituti scolastici. Vista l’assenza d’una divisa, molti studenti ne hanno creata una in modo pressoché unanime: felpa, o nera o grigia (per i più audaci blu), con o senza cappuccio o tasche, scarpe rigorosamente da ginnastica più o meno di marca e jeans o preferibilmente pantaloni della tuta. Uno stile all’insegna della comodità che a volte cela il corpo in taglie troppo grandi che non lasciano nulla all’immaginazione, sostituendo la carne al cotone, ma che in generale sembra voler sminuire l’importanza dell’originalità e della specificità della persona. Gonne e vestiti sembrano oramai estinti, tristi notizie anche per camicie e maglioni, per non parlare dei dolcevita o delle cravatte. Novità drammatiche per gli stivali, tanto popolari al mare in pieno agosto e snobbati a metà dicembre, e le paperine, oramai solo vezzo di qualche docente. Anche i colori sono colpiti: il giallo, il verde ed il rosso o il più sobrio marrone si sono oramai estinti e l’azzurro deriva solo dai jeans che sempre più spesso cedono il passo a tute larghe che più che pantaloni sembrano pigiami. Forse un dolceamaro ricordo del lockdown? Questo strano fenomeno che coinvolge i ragazzi ed inizia ad influenzare anche gli adulti, difficilmente si spiega nella società attuale, paladina della soggettività e dell’autodeterminazione del singolo.

La smania di crescere

Che la Moda e la Morte abbiano vinto? Che la loro continua azione di ricambio ed erosione della memoria attraverso la sempre maggiore velocità della vita abbiano veramente reso gli uomini solo pelle e ossa così perennemente di fretta da coprirsi e non più esprimersi? Questa macabra e sciatta corsa dei grandi si accompagna, però, ad un altro trend, che dovrebbe far inorridire più della perdita di identità: la smania di crescere. La società e i consumi corrono così tanto da coinvolgere anche i piccoli in questo processo: vestiti ed accessori per bambini diventano sempre più miniature dei prodotti per adulti con i tagli ed i messaggi che veicolano. L’effetto è così comune da far comparire frequentemente trucchi e unghie in gel su bimbe di 10 anni o creme antirughe su quelle di 11. Forse, se sin da piccoli si viene abituati alla pelle come vestito, è normale che, una volta indipendenti, ci si rifugi, come forma di rifiuto, in pigiami comodi e larghi o, al contrario, si perseveri nell’esibizione della sola propria carne. In tutti i casi, l'effetto è quello di una precoce adultizzazione e omologazione dei piccoli, di uno svilimento della originalità e, per certi versi, di quella “facoltà immaginativa” che, per Giacomo Leopardi, è caratteristica autentica e preziosissima dei fanciulli.

*Studentessa del liceo Moro