Gazzetta di Reggio

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Il caso alla Tecnove di Novellara

No vax si metteva in malattia, per il giudice «il licenziamento è giusto»

Jacopo Della Porta
No vax si metteva in malattia, per il giudice «il licenziamento è giusto»

L’operaio 38enne della Tecnove era contrario a vaccino e tampone. Quando scattò l’obbligo del green pass si mise in malattia ma nel frattempo faceva giri gastronomici per l’Italia

23 gennaio 2024
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Novellara Dal giorno in cui il green pass divenne obbligatorio nei luoghi di lavoro, si mise in malattia, dopo aver espresso di fronte a testimoni la sua contrarietà al vaccino anti-Covid e al tampone. Quando l’azienda per cui lavorava, la Tecnove di Novellara, venne a sapere che mentre era assente dal lavoro faceva tour eno-gastronomici in Italia e in Europa, svolse delle indagini private, che confermarono i sospetti, e dopo una formale contestazione lo licenziò.

Il giudice del lavoro di Reggio ha rigettato il ricorso di un operaio di 38 anni e confermato la bontà del provvedimento adottato per giusta causa da parte dell’azienda, tutelata dall’avvocata Silvia Casari .

L’impresa metalmeccanica, specializzata nella carpenteria metallica su misura, è stata chiamata a giudizio dall’ operaio dopo il licenziamento avvenuto il 18 marzo 2022. Pochi giorni prima, la Tecnove aveva adottato una prima sospensione disciplinare a seguito della verifica di una condotta non conciliabile con lo stato di malattia per il quale era assente dal luogo di lavoro. L’assenza del dipendente, assunto a gennaio 2019, si protraeva da metà ottobre 2021. L’azienda, dopo aver ricevuto una lettera anonima che l’informava del fatto che l’uomo era andato in Spagna, «ha fatto eseguire proprie indagini private a febbraio 2022 - dice il presidente Alberto Lombardini – e ha provato che il dipendente negli stessi giorni di assenza si era recato fuori Reggio Emilia per cene in diverse località con una coppia di amici, fino ad arrivare a Lugano per poi rientrare in Italia attraverso Como».

La malattia era iniziata in concomitanza con l’obbligo del green pass negli ambienti di lavoro e, come scrivono i giudici, «era cessata miracolosamente con l’attenuarsi della pandemia».

L’operaio ha giustificato la sua assenza sulla base di presunti attacchi di panico e ansia generata dal certificato verde. Una diagnosi, reiterata con certificati medici, non suffragata però da alcuna visita specialistica. «Non sono state fornite prove adeguate, attendibili e nemmeno persuasive dell’esistenza di una psicopatologia – si legge nella sentenza – I certificati del medico curante non soddisfano lo standard probatorio richiesto per tale dimostrazione».

Il Consulente tecnico d’ufficio ha aggiunto: «La diagnosi di ansia acuta non appare coerente con le affermazioni del dipendente che già il 14 ottobre, e con sicurezza, aveva previsto la sua astensione dal lavoro». Il giorno prima dell’entrata in vigore dell’obbligo del green-pass, l’uomo “predisse” che non sarebbe più stato al lavoro nei giorni seguenti.

Il Tribunale, nel rigettare il ricorso del dipendente, ha riconosciuto come «pienamente legittimo il ricorso all’investigazione privata da parte del datore di lavoro» e ha sottolineato come la condotta del dipendente «non è stata improntata a correttezza e buona fede ed è stata tale da recidere definitivamente il vincolo fiduciario sul quale si deve fondare il rapporto di lavoro».

L’operaio è stato anche condannato al pagamento delle spese legali sostenute dall’azienda, di cui è stata dimostrata la correttezza, e a pagare l’onorario del consulente tecnico.