Gazzetta di Reggio

Reggio

Il processo

Alluvione di Lentigione: «Il vicino mi salvò la vita due volte»

Ambra Prati

	L'alluvione di Lentigione, accanto Lucia Rapacchi che ha testimoniato a processo
L'alluvione di Lentigione, accanto Lucia Rapacchi che ha testimoniato a processo

Brescello: la commossa testimonianza in aula di una residente. Quel 12 dicembre 2017 furono oltre 1.100 gli sfollati

26 gennaio 2024
3 MINUTI DI LETTURA





Brescello «Il vicino di casa ci salvò la vita due volte: prima telefonandoci per avvisarci della piena, e poi ospitandoci a casa sua. Io e il mio compagno abitavamo in un bilocale con le inferriate: non oso pensare cosa sarebbe potuto capitare».

Si è commossa e non ha trattenuto le lacrime, Lucia Rapacchi, residente di Lentigione, costituitasi parte civile nel processo sull’alluvione della frazione brescellese, entrato nel vivo dando voce ai cittadini. All’alba del 12 dicembre 2017 gli abitanti di Lentigione furono svegliati dallo straripamento dell’Enza: 1.157 gli sfollati, con danni stimati in 18 milioni di euro. I tre imputati, tutti dipendenti dell’Aipo, sono accusati di inondazione colposa in concorso: i dirigenti Mirella Vergnani (avvocato Paolo Trombetti) e Massimo Valente (legale Giulio Garuti), il tecnico Luca Zilli (avvocato Amerigo Ghirardi). Presente, come d’abitudine, il sindaco di Brescello, Carlo Fiumicino.

«Abitavo in via Imperiale 97/c, proprio di fronte al tratto dove l’argine ha ceduto: in linea d’aria saranno 200 metri di distanza», ha esordito Lucia. «Alle 6 io e il mi compagno stavamo dormendo quando arrivò la telefonata del vicino di casa: “Esci subito, l’Enza sta straripando”. Il primo istinto è stato di aprire la porta: l’acqua arrivava già al ginocchio. Ci siamo vestiti, abbiamo preso in mano i due gatti e abbiamo cercato di uscire, ma la corrente ci spingeva indietro. L’unica alternativa era salire».

Il primo pensiero di Lucia è stato di avvisare i familiari. «Ho chiamato mio fratello a Campegine e mia madre a Sorbolo, dicendo di non venire a Lentigione. In seguito le batterie del telefonino ci hanno abbandonato e mancava la luce. Per capire quanto saliva l’acqua, guardavamo i gradini delle scale: l’acqua li copriva velocemente».

I due hanno deciso di andarsene. Dal piano superiore i due sono scesi e hanno scavalcato la siepe che li separava dall’abitazione del vicino.

«Il mio compagno ha piegato la siepe con le mani, si è pure fatto male. Il vicino ci ha subito aperto e ci ha ospitato al piano di sopra. Sono stati attimi terribili». Alla domanda dell’avvocato Domizia Badodi (che tutela gran parte dei 181 cittadini) se ricevette un qualche tipo di alert, ha risposto: «No, nulla. Le uniche informazioni le ho avuto seguendo sul cellulare il profilo Facebook del sindaco di Sorbolo, ma dal nostro lato nessun avviso. Questo avrebbe dovuto farci pensare. Invece la sera precedente andammo a letto tranquilli: non abbiamo avuto il sentore del pericolo».

Ha mai visto eventuali interventi su fiume? «No, non ho mai visto nulla. Ho solo ricordi di bambina: mio nonno era un pescatore e, quando tirava via le sterpaglie intorno alla barca, diceva sempre che bisogna tenere pulito il fiume per far defluire l’acqua. I lavori sono stati fatti dopo l’alluvione». Quand’era troppo tardi. Esortata sulle conseguenze psicologiche dal suo avvocato Gianluca Tirelli, la voce di Lucia si è di nuovo incrinata. «Dopo si sono manifestati attacchi di panico. Ho fatto un percorso psicologico, ma ancora oggi non è facile parlarne. Eravamo in affitto: sfollata, non sono più tornata. Era troppa la paura».

In precedenza ha deposto l’allora sindaco di Sorbolo Mezzani, Nicola Cesari, citato dall’avvocato Badodi, che ha raccontato come sulla sponda parmigiana (dove il punto critico è il ponte di Casaltone) la situazione sia stata gestita molto diversamente. «Per quello che accadeva sotto i miei occhi, temevo vittime. Ho aperto il Coc con l’allerta arancione alle 11 (è facoltà del sindaco), ho svegliato i tecnici in piena notte per pulire il ponte, ho attivato i volontari. Finito tutto, per la tensione mi misi a piangere». Tra le prerogative del sindaco «c’è quella di assumersi la responsabilità di decidere in emergenza, con l’eventualità di ritrovarsi in tribunale». Si confrontò con diversi sindaci, Cesari, «tra cui Maiola di Gattatico», ma non con i commissari prefettizi di Brescello.