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Il processo

Correggio, maltrattamenti alla casa di riposo Le difese chiedono l’assoluzione

Serena Arbizzi
Correggio, maltrattamenti alla casa di riposo Le difese chiedono l’assoluzione

Richiesta compatta dei legali delle operatrici sanitarie

27 gennaio 2024
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Correggio Indagini definite come “un’operazione taglia e cuci” tanto che “se ci fossero state le “cimici” nelle altre stanze ci si sarebbe resi conto della professionalità delle operatrici che dovevano prestare attenzione a 47 degenti non in condizioni di autosufficienza”.

Gli avvocati difensori delle sei operatrici della casa di riposo di via Mandriolo, nel corso della lunga udienza durata tutta la giornata, ieri, hanno chiesto, compatti, l’assoluzione per le loro assistite, accusate di maltrattamenti e, a vario titolo, di violenza privata. Mentre nella penultima udienza l’accusa, rappresentata dal pm Maria Rita Pantani, aveva chiesto, invece, la condanna per le imputate e la parola era poi passata alle parti civili. A processo davanti alla giudice Francesca Piergallini ci sono: Angela Cipriana Tehei, Ester Montoya, residente a Carpi (entrambe difese dall’avvocato Antonio Sarzi Amadè), Karina Da Silva (avvocato Angela Zannini), Antonia Iacovino (assistita dagli avvocati Cosimo Zaccaria e Nicola Elmo), Maria Di Francesco (avvocato Pina Di Credico) ed Elena Bassi (avvocato Nicola Tria).

Ha esordito l’avvocato Pina di Credico che, come citato sopra, ha parlato di «un’indagine “taglia e cuci”». E si è soffermata su episodi specifici «come quello in cui, secondo la Procura», l’anziano «chiedeva incessantemente aiuto per 15 minuti. In realtà non era così. Nonostante fosse stato cambiato, si era denudato e aveva smontato il letto, mettendosi addosso il materasso. Quando è stato chiesto perché non è stata riportata questa condizione, mi è stato risposto che non è importante riportare le condizioni in cui un degente si trova nella struttura sanitaria». E, ancora, «se non ci fossero state due “gole profonde” queste indagini le indagini non avrebbero avuto alcun seguito. Non c’era la volontà di infliggere uno stress psicofisico. Ci hanno riferito, poi, che Maria di Francesco era molto ingenua, aveva un modo di parlare teatrale. Voleva bene all’anziano e lavorava in condizioni di sotto organico e di stress».

Gli avvocati Cosimo Zaccaria e Nicola Elmo, difensori di Iacovino, puntualizzano che la tesi della Procura era che l’anziano richiamasse l’attenzione dell’operatrice socio-sanitaria attraverso le urla e le operatrici, dal canto loro, se ne disinteressassero. Il consulente tecnico, evidenzia la difesa, ha chiarito come si fosse in presenza di un quadro patologico importante e che l’anziano, pertanto, non stesse domandando aiuto, bensì fosse in preda a fasi di scompenso transitorio che si traduceva in fluttuazioni dello stato della persona.

«Per la nostra assistita non c’è una parola che possa definirsi un’offesa, una minaccia – sottolineano i legali –. ci sono, a volte, toni decisi, ma per farsi seguire nella manovra dall’anziano, la nostra assistita ha sempre accudito questa persona e prestato assistenza quando è intervenuta». La difesa ha mostrato anche video all’interno della stanza dell’anziano.

Anche l’avvocato Angela Zannini evidenzia come «non sia stato riportato l’intero contesto in cui i fatti si sono certificati. Tutti gli episodi sono avvenuti nella notte dove lo stress era altissimo perché le operatrici sociosanitarie erano due a fronte di 47 degenti».