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Anche il sindacato di polizia dice “no” all’esercito in stazione

Ambra Prati
Anche il sindacato di polizia dice “no” all’esercito in stazione

Felice Romano (Siulp): «L’allarme sociale si risolve con condanne effettive»

28 gennaio 2024
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Reggio Emilia «Il problema sicurezza non si risolve con l’esercito». Felice Romano, segretario generale del Siulp (il sindacato italiano unitario dei lavoratori di polizia) – ieri a Reggio in occasione della intitolazione della sede del sindacato reggiano al compianto Luigi Piscopo – è sulla stessa lunghezza d’onda del prefetto di Reggio Emilia Maria Rita Cocciufa, che per ora ha escluso il ricorso all’esercito a differenza di quanto fatto dalle città confinanti.

«La situazione della zona della stazione storica ferroviaria di Reggio non è un unicum: è un problema che riguarda l’intero Paese», ha esordito Romano, che ha citato un’altra peculiarità reggiana, «la presenza delle organizzazioni criminali che si insinua e drena risorse nell’economia sana. Non a caso questa città è la capitale delle interdittive».

Il discorso sicurezza, invece, è più complesso?

«L’allarme sociale e il senso di insicurezza aumentano anche se i reati – come dicono le statistiche, che in questo caso non illuminano – diminuiscono. Esistono svariate ragioni. Noi come sindacato stiamo gridando da tempo che è necessario stilare una lista di reati che, pur prevedendo condanne minime, creano allarme sociale e su quelli agire. Faccio un esempio: se truffo una grande azienda dovrò scontare una pena di quattro anni, invece se scippo un’anziana e vengo preso per un reato che prevede una condanna a tre mesi non andrò mai in prigione poiché con la condizionale della pena chi rimedia una condanna inferiore ai tre anni non la sconta effettivamente».

Come è accaduto di recente per i responsabili, catturati dalla polizia, di risse e rapine in stazione?

«Sì. In questa lista inserirei le aggressioni alle forze dell’ordine: se ampliamo il discorso non solo agli agenti ma anche ad autisti, ferrovieri e sanitari accade un’aggressione ogni tre minuti. Le conseguenze per gli aggressori sono minime per non dire nulle. Questo non solo fa lievitare gli infortuni sul lavoro degli agenti, ma soprattutto genera la consapevolezza dell’impunità da parte dei malviventi».

Quindi l’esercito non serve?

«La militarizzazione del territorio cozza con la sfida delle grandi democrazie moderne: conciliare sicurezza e libertà. I militari vanno bene per vigilare gli obiettivi sensibili, ma il mestiere del poliziotto, che deve conoscere il territorio, è un altro. L’esercito non è la soluzione. Sulle stazioni pericolose il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha parlato chiaro: ci saranno operazioni ad alto impatto, che inizieranno prima nelle grandi metropoli. Operazioni che però si scontreranno con la carenza di personale delle forze dell’ordine: l’anno scorso sono andati in pensione 5.800 poliziotti a fronte di una capacità formativa di 4mila tra agenti e dirigenti, il che significa 2mila nuovi ingressi. Da qui al 2030 avremo 40mila pensionamenti, che si porteranno dietro la loro preziosa esperienza. Le forze fresche sono più preparate (sono tutti laureati) ma l’esperienza è fondamentale. Sarà una vera e propria emorragia di risorse umane, a fronte di un sempre maggior impegno sul piano dell’allarme sociale».