Gazzetta di Reggio

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Compie cento anni Piero Benassi ultimo direttore del San Lazzaro

Compie cento anni Piero Benassi ultimo direttore del San Lazzaro

Per 30 anni alla guida del manicomio di Reggio, sta scrivendo un nuovo libro

28 gennaio 2024
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i Luciano Salsi

Reggio Emilia Piero Benassi, ultimo direttore dell'istituto psichiatrico San Lazzaro, compie oggi cento anni mentre continua a scrivere e pubblicare volumi, finora in tutto una dozzina, che attestano non solo la storia sanitaria di cui è stato protagonista, ma anche la capacità di indagare lo stato di salute mentale della società odierna. È stato per trent’anni, dal 1964 al 1994, a capo del “famoso manicomio di Reggio Emilia”, per citare il titolo del suo ultimo libro, pubblicato l’anno scorso dall’editrice Consulta. Per un altro decennio ha diretto la clinica Villa Igea a Modena.

Dal 2002 al 2014 ha presieduto l’Associazione per il Museo di Storia della Psichiatria, che è stato allestito in un padiglione dell’ex-casa di cura reggiana anche con documentazione tratta dalla Rivista di Freniatria da lui diretta per più di un trentennio. Nel 1999 è stato insignito della medaglia d'oro al merito della Sanità pubblica. Ora sta lavorando ad un’opera divulgativa che avrà il titolo “Come funziona il cervello?”. Altre sue pubblicazioni riguardano la piaga ottocentesca della pellagra, la biografia di Antonio Galloni, primo direttore del San Lazzaro, l’aggressività e la violenza. Sono centinaia i suoi articoli apparsi su riviste scientifiche. Non manca la narrazione della sua esperienza partigiana. «Ho raccontato – riferisce – di quando, dopo l’8 settembre 1943, riuscii a scappare dal treno con cui venivo deportato verso la Germania. Mi ritrovai in montagna con le Fiamme Verdi nella Repubblica di Montefiorino insieme ad Ermanno Gorrieri, futuro ministro del Lavoro».

Lei è stato un pioniere nell’introduzione degli psicofarmaci. Come ne venne a conoscenza?

«Ebbi la fortuna di specializzarmi a Parigi. Di là ritornai con una valigia piena di uno dei primi medicinali destinati a sostituire l’elettroshock, l’insulinoterapia e le altre cure obbrobriose».

La nostra città fu all’avanguardia nel battersi per la chiusura dei manicomi decretata nel 1978 dalla legge 180 ispirata da Franco Basaglia. Quali rapporti lei aveva con Giovanni Jervis, che guidava a Reggio quella battaglia?

«Nessuna relazione. Non condividevo l’estremismo del movimento dell’antipsichiatria. Convenivo sulla necessità di superare il sistema manicomiale, ma mi preoccupavo soprattutto della sorte dei malati, che erano arrivati al numero di duemila. Non sono mai entrato nel dibattito politico. Trovai molto aiuto da parte del socialista Sergio Masini, presidente del San Lazzaro. Erano con me anche tanti comunisti, fra cui il futuro senatore Alessandro Carri».

Quali iniziative prepararono l’attuazione della riforma?

«L’apertura per i pazienti di una scuola di falegnameria, grazie a Marco Tamagnini dell’Enaip, e di strutture comunitarie a Gaida, Sabbione e in via Malaguzzi».

Dopo il 1978 la progressiva dimissione dei pazienti fu frenata dai casi di abbandono e suicidio, tant’è che l’istituto psichiatrico fu definitivamente soppresso quasi vent'anni dopo. Come vennero superate tali difficoltà?

«Con la legge che concedeva la pensione ai malati, in modo che le famiglie fossero incoraggiate ad accoglierli, e con il rafforzamento dei centri di salute mentale. All’inizio mancavano i mezzi e il personale per la terapia, l'assistenza e la riabilitazione sul territorio. In altre province vennero firmate convenzioni con le cliniche private. A Villa Igea fu mio compito introdurre i cambiamenti voluti dalla legge Basaglia».

L’antipsichiatria negava l’esistenza della malattia mentale, reputando la società e la famiglia responsabili del disagio psichico. Lei è d’accordo?

«Esistono cause di ordine sociale, ma non si può negare l’ereditarietà di patologie come la schizofrenia e la depressione».

Quali nuovi problemi psichiatrici si devono affrontare oggi?

«Soprattutto le dipendenze, non solo da droghe e alcol, ma anche dal telefono cellulare. Essere collegati alle reti informatiche va bene fino ad un certo punto. Altrimenti si è ingannati». l