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La cultura contro la violenza «Vogliamo relazioni basate sulla parità»

La cultura contro la violenza «Vogliamo relazioni basate sulla parità»

«A scuola si potrebbe parlare di più di femminicidi facendo confrontare e riflettere noi studenti»

30 gennaio 2024
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Reggio Emilia «Cultura non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma è la capacità che ha la nostra mente di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri uomini. Ha cultura chi ha conoscenza di sé e del tutto, chi sente la relazione con tutti gli altri esseri». Nonostante l’interazione tra uomini e donne sia la più importante, negli ultimi anni l’incremento dei casi di femminicidio ha sollevato importanti interrogativi sulla cultura che pervade la nostra società. Essa, intesa come insieme di valori, norme e atteggiamenti condivisi, può svolgere un ruolo significativo nel promuovere la consapevolezza e la comprensione delle azioni svolte. Per esempio, a scuola si potrebbe affrontare più spesso questo argomento durante le ore di lezione, magari facendo confrontare gli studenti tra loro alla presenza dei docenti, così che ognuno possa esprimere la propria opinione. L’inizio di un’educazione alle relazioni sane però deve scaturire dall’interno del nucleo familiare: infatti i padri dovrebbero dare per primi l’esempio in casa, cioè nell’ambiente di tutti i giorni, dal momento che i figli sono portati a seguire le orme dei genitori. Analizzando la cultura in modo critico, possiamo chiederci come essa possa contribuire a commettere atti violenti. Molti autori hanno parlato di questo argomento analizzandolo tramite la psicologia. Ad esempio, Richard Nisbett e Dov Cohen, in “Culture of Honor: The Psychology of Violence in the South” esaminano come la cultura dell’onore, che valorizza la risposta aggressiva alle offese, possa portare alla violenza. Anche Steven Pinker in “The Better Angels of Our Nature: Why Violence Has Declined” prende in considerazione e studia la violenza nel corso della storia dell’uomo e giunge alla conclusione che, grazie all’educazione, si è registrata una notevole riduzione della violenza. La consapevolezza e l’educazione sono chiavi per contrastare questo fenomeno. Molto, in tal senso, possono fare i mass media e i mezzi di comunicazione in generale. Esistono infatti molti film e libri sull’argomento. Ad esempio “L’ho uccisa perché l’amavo: (falso!)” di Loredana Lipperini racconta il silenzio di una donna intrappolata in una relazione con un compagno violento che la picchiava: quando lei decide di lasciarlo, viene uccisa. Oppure “Suad bruciata viva”, romanzo autobiografico di una ragazza cisgiordana alla quale, come “punizione” per essere rimasta incinta prima del matrimonio, è stato gettato addosso dell’acido dal cognato, rovinando così per sempre il suo volto e la sua vita. Questi due esempi fanno capire che, purtroppo, le donne possono essere aggredite per qualsiasi motivo, che può essere religioso come per il loro desiderio di una maggior autonomia o per una semplice relazione che comincia a diventare pesante, tossica. Dal nostro punto di vista, che è maschile, quello della cultura come strumento per combattere la violenza sulle donne è un argomento a cui abbiamo pensato seriamente prima di proporlo. Secondo noi è fondamentale che i giovani uomini creino una cultura basata sul rispetto generale verso chiunque e quindi di contrasto alla violenza, naturalmente anche sulle donne. Attraverso il dialogo aperto, possiamo contribuire a cambiare le norme culturali, favorendo relazioni basate sulla parità e sulla comprensione. Solo attraverso un cambiamento radicale e importantissimo di questo tipo possiamo sperare di creare una società libera dalla minaccia delle violenze di genere.

Matteo Fontanesi
Giovanni Infantolini
Emanuele Sabatino
Studenti dell’istituto Secchi