«Positiva al Covid e con gravi problemi respiratori: sono rimasta al pronto soccorso 28 ore»
Il calvario raccontato da una cittadina reggiana. «Capisco che ci sia poco personale, ma ho ricevuto risposte arroganti e maleducate». L’Ausl si scusa: «Sovraffollamento in quei giorni»
Reggio Emilia «Ho già fatto reclamo alla direzione sanitaria e appena possibile la farò pure al tribunale del malato in quanto credo che già la permanenza di 28 ore sia inaccettabile, ma è stato il comportamento di medici e infermieri che mi ha colpito negativamente sia per le cure ricevute che per il comportamento degli infermieri».
È un duro sfogo quello lanciato da una cittadina reggiana che a fine dicembre si è recata in pronto soccorso con febbre alta e problemi respiratori: un calvario segnalato alla Gazzetta, attraverso una mail nella quale viene fortemente criticata la lunga attesa e l’assistenza ricevuta.
La donna racconta di essersi recata al pronto soccorso alle 18.49 del 29 dicembre. Alcune settimane prima si era già presentata perché le era stata diagnosticata una polmonite. «Gli infermieri della zona Covid, essendo positiva hanno effettuato l’anamnesi alle 18.49 e alle 19.01 mi venivano diagnosticati nuovi problemi polmonari abbastanza seri. Durante la permanenza notturna, nonostante le mie ripetute richieste di controllare febbre e saturazione, fino a mezzanotte non sono mai state riprovate. Inoltre, pur avendo segnalato difficoltà respiratorie non mi è stato somministrato l’ossigeno».
E ancora: «Al mattino seguente mi hanno provato la febbre e la temperatura era a 38° e mi viene somministrato tramite flebo il farmaco per farla scendere. Poche ore dopo viene controllata la saturazione che risulta essere a 95».
Secondo il racconto della donna, «in tutte queste ore, nonostante l’abbia richiesta più volte, non mi è stata consegnata nemmeno una bottiglietta d’acqua e mi è stato detto di provare ad andare in bagno da sola essendoci poco personale». La febbre, secondo la testimonianza, continua a salire: «Vengo isolata in box 2 poiché malata di mieloma multiplo, lasciandomi sempre sulla barella. Chiedo dopo circa 25 ore se è possibile ottenere qualcosa da mangiare e mi viene portato dopo mezz’ora mezzo bicchiere di tè con tre biscotti in numero». È durante la permanenza nel box che si avvicina una dottoressa «che non mi aveva in carico accennando alla possibilità di dimissione nonostante la febbre alta e le difficoltà respiratorie, in quanto agli infettivi non c’erano posti letto a disposizione. Dopo questo episodio e dopo le quasi 28 ore trascorse in pronto soccorso ho chiamato uno degli infermieri al quale ho chiesto di poter parlare con uno dei medici che mi aveva visitato e preso in carico e il rappresentante delle forze dell’ordine, poiché vivendo da sola non ero assolutamente intenzionata ad accettare le dimissioni e pretendevo che sul foglio venisse segnalata la mia contrarietà».
Dalla protesta si è quindi passato al ricovero: «Nessuno si è presentato ma improvvisamente è saltata fuori la possibilità di essere ricoverata agli infettivi, dove ero stata ricoverata già la volta precedente che mi ero presentata in pronto soccorso qualche settimana prima». Ciò che ha lasciato non indifferente la donna è l’atteggiamento di medici e infermieri: «Ora mi chiedo, essendo poi ricoverata dal 30 dicembre al 16 gennaio per problemi respiratori seri e Covid, sono diventata negativa l’8 gennaio dopo 50 giorni, cosa poteva succedermi a casa da sola». E infine: «Pur capendo che ci sia poco personale rispetto all’afflusso di pazienti, ritengo vergognoso non ricevere ossigeno per tutte le ore in pronto soccorso pur mostrando problemi respiratori (arrivata agli infettivi la prima cosa che hanno fatto è stata proprio mettermi l’ossigeno anche se leggero), non ricevere nulla da mangiare e solo una bottiglietta d’acqua, non poter parlare chiaramente con uno dei medici che mi avevano in carico, ricevere un certo tipo di risposta abbastanza arrogante e maleducata da parte di alcuni infermieri».
LA RISPOSTA DELL’AUSL
«Ci scusiamo per le ore di attesa affrontate in giorni complicati sotto ogni punto di vista». È la risposta dell’Ausl. «La paziente ha avuto accesso al Pronto Soccorso il 29 dicembre alle 13.59 per il persistere di una sintomatologia collegata a un ricovero al termine del quale era stata recentemente dimessa. Negli ultimi giorni dell’anno il pronto soccorso ha visto momenti di affollamento che hanno messo a dura prova l’equipe, ciononostante la signora è stata regolarmente sottoposta a esami anticipatori prima di essere visitata in ambulatorio».
Dall’Ausl aggiungono: «La paziente è stata posta in isolamento per il tampone positivo, i parametri vitali risultavano stabili e le sue condizioni non richiedevano l’uso di supporti specifici. Durante l’osservazione gli stessi parametri sono stati costantemente monitorati ed eseguiti ulteriori esami diagnostici, di laboratorio e per immagini, che evidenziavano segni di miglioramento. In questo lasso di tempo è intercorsa la consultazione con gli infettivologi per valutare l’eventualità di un ricovero, sulla base degli accertamenti».
Quindi una precisazione: «La prassi prevede che in pronto soccorso siano forniti generi di conforto qualora le condizioni del paziente lo consentano e non si profili il rischio di complicanze. Spiace che la relazione con il personale non sia stata percepita come soddisfacente. Siamo convinti che la comunicazione e l’interazione efficace siano una forma di cura, al pari di accertamenti e terapie, e poniamo attenzione nel formare i nostri operatori al riguardo».
© RIPRODUZIONE RISERVATA