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Detenuto torturato in carcere: «Ho avuto paura di morire»

Detenuto torturato in carcere: «Ho avuto paura di morire»

Le parole del 43enne dopo il pestaggio: «Pensavo che non la smettessero più». Possibile ispezione alla Pulce

11 febbraio 2024
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Reggio Emilia «Devo ammettere che, nonostante credo sia giusto denunciare quello che è successo, ho molta paura che possa risuccedere, anche perché quello che è successo quel giorno e quello che ho provato non lo dimenticherò mai. In queste notti non riesco a dormire perché ripenso a quanta paura ho avuto di morire e a tutta quella forza e violenza che è stata usata nei miei confronti mentre ero a terra e ammanettato». Sono le dichiarazioni del detenuto tunisino di 43 anni, verbalizzate pochi giorni dopo il pestaggio del 3 aprile 2023 in carcere a Reggio Emilia.

Dopo le immagini choc del video delle telecamere della Pulce – diffuse venerdì scorso dall’agenzia Ansa – il caso del pestaggio nell’istituto penitenziario è diventato terreno di scontro politico.

Nel video – parziale – si vede il detenuto con una federa in testa attorniato dai poliziotti: uno di questi gli fa lo sgambetto, il 43enne cade per terra, viene colpito con schiaffi, calci e pugni, denudato dalla cintola in giù e spinto nella cella d’isolamento dove sarebbe rimasto un’ora senza soccorso, nonostante il copioso sangue sparso sul pavimento.

Dicevamo un caso politico. Tanto che nel tardo pomeriggio di ieri il “Garante nazionale delle persone private della libertà personale” (organo collegiale di tre persone, presidente Felice Maurizio D’Ettore, il cui obiettivo è la prevenzione della tortura e dei trattamenti crudeli, inumani o degradanti) ha promesso verifiche in via Settembrini.

Secondo le agenzie di stampa, scopo dell’iniziativa è di approfondire il contesto generale e le circostanze in cui è avvenuto l’episodio testimoniato dalle immagini circolate. Potrebbe poi essere disposta un’ispezione.

«È stato un lungo momento di terrore puro, in cui ho pensato che non avrebbero mai smesso», racconta il 43enne. «Ho esposto al mio avvocato (Luca Sebastiani di Bologna, ndr) la mia ferma volontà di denunciare l’accaduto, perché come io sto pagando per gli errori che ho fatto è giusto che chi mi ha picchiato, approfittando della circostanza che fossi ammanettato e in minoranza, risponda legalmente di ciò che ha fatto. Sono consapevole dei rischi che posso correre denunciando tutto questo proprio mentre sono nello stesso carcere, ma non è giusto quello che è successo». In seguito il recluso è stato trasferito. Il trauma psichico e il timore di essere ucciso, oltre a un trattamento degradante, sono le contestazioni mosse dalla procura guidata da Calogero Gaetano Paci; da qui l’imputazione del reato di tortura, lesioni personali e falso in atto pubblico (per verbali presunti fasulli) con l’aggravante dell’aver commesso il fatto in qualità di pubblici ufficiali. Un’imputazione che tuttavia deve superare il vaglio del giudice. Il pm Maria Rita Pantani ha chiesto il rinvio a giudizio per dieci agenti di polizia penitenziaria – che negano con forza gli addebiti – ma siamo in fase di udienza preliminare: il fascicolo sarà vagliato dal gup Silvia Guareschi il 14 marzo.

Alcuni avvocati difensori non ci stanno e annunciano un esposto. «In relazione alla pubblicazione di un video, peraltro parziale e con montaggio “suggestivo”, prima ancora che venga celebrata e definita l’udienza preliminare, pare si ponga in contrasto con la normativa di riferimento: è infatti vietata la pubblicazione di atti (anche non più coperti da segreto) e ciò fino al termine dell’udienza preliminare – scrivono gli avvocati Federico de Belvis, Nicola Tria e Alessandro Conti – Rispetto a tale pubblicazione (che riteniamo possa essere avvenuta contra legem) stiamo valutando la presentazione di un esposto alla locale Procura della Repubblica (salvo che la Procura non abbia già aperto un indagine). Ad ogni buon conto tale divulgazione senza dubbio nuoce al processo e alle garanzie difensive. I processi si celebrano nelle aule e non altrove. La neutralità psicologica del giudicante è un principio centrale e richiede che il giudice arrivi al dibattimento libero da pregiudizi, dovendo assistere alla formazione della prova nel contraddittorio di accusa e difesa, così che la tutela del segreto investigativo è stata ritenuta chiarificazione anche della garanzia di neutralità».  

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