Gazzetta di Reggio

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L’allarme della Procura

«Le fatture false sono il volto nuovo della ’ndrangheta a Reggio Emilia»

Serena Arbizzi
«Le fatture false sono il volto nuovo della ’ndrangheta a Reggio Emilia»

Il capo della Procura Paci in commissione antimafia: «Le denunce sono poche». Sul caso Pennisi: «I procedimenti riguardano qualsiasi appartenenza politica»

15 febbraio 2024
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Reggio Emilia «L’estorsione non avviene più tramite l’imposizione violenta e intimidatoria, normalmente la falsa fatturazione diviene il meccanismo che consente sia all’estorto che all’estorsore di trarre un vantaggio a danno dello Stato».

Parola del procuratore capo di Reggio Emilia Gaetano Calogero Paci, nel corso di una lunga audizione alla commissione parlamentare antimafia nell’ambito di un’inchiesta sulla penetrazione della ’ndrangheta al centro e nord Italia, in cui ha tracciato una radiografia dettagliata del tessuto reggiano sul fronte della criminalità organizzata e non solo.

«La mafia si è trasformata, non ha più una modalità operativa di tipo militare – prosegue il capo della Procura reggiana –. Si manifesta con modalità diverse che riguardano la gestione delle attività economiche in territori dove la ricchezza consente di diversificare gli investimenti. C’è una domanda a livello nazionale di gestione di attività economiche in nero per cui molti imprenditori, anche noti brand nazionali, si rivolgono a queste organizzazioni di Reggio Emilia per acquistare pacchetti di false fatture e fallimenti pilotati, architettati in modi ingegnosi, per gli scopi più vari: risanare i bilanci, poterli prospettare alle banche in modo apparentemente satisfattivo, usare le false fatture per avere crediti inesistenti ed evadere l’Iva».

Il procuratore capo ha indicato come «durante la pandemia il Pil della provincia di Reggio Emilia sia cresciuto come quello della Cina, secondo i dati di Guardia di Finanza e Uif, l’Unità di Informazione finanziaria. Il territorio di Reggio Emilia, inoltre, è al terzo posto dopo Milano e Brescia come circondario con il maggior numero di imprese nella criminalità organizzata. Non possiamo più pensare alla criminalità organizzata come l’abbiamo conosciuta finora, quando si manifestava con l’uso della violenza per conquistare mercato. Oggi, in Emilia troviamo una criminalità organizzata interessata a settori come l’edilizia, la gestione e lo smaltimento rifiuti, ma anche le energie rinnovabili, le scommesse, un settore, questo, con grande proiezione internazionale».

«Qui, le frodi fiscali sono organizzate in modo sistemico – prosegue il capo della Procura –. L’uso di cartiere, fallimenti pilotati, di “estero vestizione” gestita da vere e proprie imprese criminali. Il processo Aemilia è lo Zenith della penetrazione e del consolidamento delle cosche di ‘ndrangheta in Emilia Romagna. La falsa fatturazione è il meccanismo che consente alla ’ndrangheta di far pagare allo Stato le estorsioni. Così si mantiene l’egemonia sul territorio senza essere visibili. Qui il contrasto alla criminalità organizzata comporta l’analisi del sangue delle imprese per capire a chi sono riconducibili».

Le interdittive antimafia sono significative e il procuratore evidenzia un ritardo di almeno 20 anni nell’impiego di questo mezzo. «Dal 2010 la prefettura di Reggio Emilia ha emesso un numero di interdittive con indici di aumento del doppio rispetto ad altre città più grandi – continua Paci –. Nel 2022 sono state il quintuplo di Palermo, dove le interdittive sono state 19, mentre a Reggio Emilia 136. Non significa che non vi sia la cultura della prevenzione in quei territori, lì esiste un’attività che si protrae da diversi decenni, cosa non avvenuta in Emilia. La sentenza Aemilia ha sancito il passaggio della ’ndrangheta da soggetto militare a soggetto che si interessa di attività economiche legali. La ’ndrangheta ha percepito e compreso l’importanza strategica del territorio dove le attività economiche si gestiscono in modo diverso da quanto avviene al Sud, dove non si trattava di mettere le bombe, ma di agire in una modalità diversa».

Il modo per mettersi d’accordo senza «sparare alle gambe al concorrente» è la falsa fatturazione. Questo, come rimarca Paci, non significa che Reggio Emilia i delitti non vengano compiuti, anzi. E ha ricordato come sul territorio ci siano numerose etnie i cui valori, talvolta, si scontrano con quelli occidentali e la mente corre al caso Saman. Il capo della Procura evidenzia di avere l’ufficio «pieno di denunce di ragazze pakistane, indiane, bengalesi».

Questo senza dimenticare il traffico di droga: sono stati sequestrati 150 chili di cocaina.

Paci chiede che sia intensificata l’attenzione «sull’economia criminale, che può arrivare a minare anche le istituzioni».

Numerose le domande dei parlamentari in commissione, come dell’onorevole pentastellata correggese Stefania Ascari.

Paci ha ricordato il rilievo del collaboratore di giustizia, «una figura molto temuta». E ha risposto a più domande sulle dichiarazioni di Roberto Pennisi, magistrato in congedo dalla Direzione nazionale antimafia, che ha dichiarato come ci fossero elementi per indagare con Aemilia anche il centrosinistra, ma sia stato scelto di non farlo. E si è ricordato come agli atti ci sia un’informativa dei servizi segreti trasmessa dai carabinieri i cui nomi sarebbero stati i primi su cui indagare nell’ambito dei rapporti tra ’ndrangheta e politica. «Non è indagine del mio ufficio ma di competenza della Dda – premette Paci nel rispondere alle osservazioni –. Per le attività che la Procura di Reggio ha svolto sono in corso processi su soggetti che hanno ruolo in amministrazioni e altri a loro vicini, appartenenti a qualsiasi area politica. Una è Angeli e demoni, l’altra è sui bandi del Comune di Reggio Emilia. Da questo punto di vista non ho verificato lacune tali da far parlare di unidirezionalità o parzialità delle indagini».

Infine la stoccata al territorio per le poche denunce. «Ancora oggi non riesco a capacitarmi del fatto che nonostante le straordinarie evidenze di questo fenomeno criminale, per esempio le segnalazioni di fatture per operazioni inesistenti da parte di professionisti, che pure sono obbligati per legge a farle, si contano sulle dita di due mani. Così come non vi sono segnalazioni adeguate, nonostante non siano mancate le occasioni per stimolarle, da parte delle associazioni imprenditoriali e dei sindacati che potrebbero anche non denunciare ma evidenziare alle autorità investigative un improvviso arricchimento di un concorrente rispetto alla fisiologica dinamica di mercato».