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Reggio Emilia, «Non siamo stati noi a pestare il detenuto Francesco Madonia»

Serena Arbizzi
Reggio Emilia, «Non siamo stati noi a pestare il detenuto Francesco Madonia»

I tre imputati per l’aggressione nel carcere della Dozza del marzo 2015 negano le accuse

15 febbraio 2024
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Reggio Emilia Hanno negato le accuse nei loro confronti, gli imputati nel processo con l’accusa di aver partecipato, a vario titolo, al pestaggio di un detenuto nella sezione “Alta sicurezza”, perché irrispettoso della gerarchia criminale all’interno del carcere. L’accusa, rappresentata dalla pm della Dda, la Direzione investigativa antimafia, Beatrice Ronchi, indica che i fatti si sono verificati nel marzo del 2015 verso il detenuto campano Francesco Madonia, a quel tempo “spesino” - ossia, aveva l’incarico di fare la spesa - nel carcere bolognese di Dozza. Gli esecutori materiali del pestaggio sono considerati Mario Temperato ed Enrico Palummo. I mandanti sarebbero Sergio Bolognino e Gianluigi Sarcone. Ieri tre imputati - Sarcone, Palummo e Temperato - hanno affrontato l’esame e reso dichiarazioni davanti al collegio di giudici presieduto da Luigi Tirone. Sarcone si è sottoposto a un breve esame che ha compreso principalmente le domande del difensore, contestando le accuse a suo carico. Più dettagliato l’esame di Temperato, assistito dall’avvocato Fabrizio Canuri. Anche Temperato ha negato la partecipazione ad atti violenti verso il detenuto e ha negato di aver ricevuto richieste da Sarcone, Bolognino o da altri. Ha chiarito, inoltre, i rapporti rilevati con alcune persone, ossia con un agente della penitenziaria e parenti di tre detenuti con i quali aveva condiviso la detenzione. Temperato ha poi spiegato di aver aperto una ditta di compravendita di auto con base in Svizzera per cui si era appoggiato all’agente della penitenziaria. Anche Palummo ha negato di aver partecipato al pestaggio per la sua giovane età, in una possibile scala gerarchica del sodalizio criminale. Sono stati ascoltati anche agenti della penitenziaria che confermano vigilanza costante e l’esistenza di telecamere, oltre che un protocollo per cui gli agenti avrebbero dovuto intervenire in caso di scontri, ma hanno detto di non aver visto o sentito nulla. l


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