Gazzetta di Reggio

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Rinviati a giudizio i quattro agenti accusati di torture a Sassuolo

Daniele Montanari
Rinviati a giudizio i quattro agenti accusati di torture a Sassuolo

Uno è di Scandiano, un altro di Reggio. La presunta vittima vive a Casalgrande

16 febbraio 2024
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Sassuolo Sono stati rinviati a giudizio i quattro agenti della polizia locale di Sassuolo su cui pende la pesantissima accusa di tortura. Ieri in udienza preliminare il giudice Barbara Malvasi ha disposto il processo, fissando la prima udienza per il prossimo 7 maggio.

Non ci sono state distinzioni di profili per i quattro. Si tratta di due agenti semplici (un 34enne residente a Modena e un 26enne di Reggio Emilia) assistiti dall’avvocato modenese Barbara Tassi e dall’avvocato Valerio Guazzarini del Foro di Bologna (dello studio del prof Vittorio Manes) e di due assistenti accusati anche di falsità ideologica per aver firmato una relazione di servizio il cui contenuto è considerato non veritiero. Loro sono difesi dall’avvocato reggiano Giovanni Tarquini, il 38enne di Scandiano, e dagli avvocati Roberto Mariani e Fabrizio Canuri, il 52enne di Formigine.

L’episodio accadde la notte tra il 15 e il 16 ottobre 2021. Un 41enne di nazionalità marocchina che vive a Casalgrande venne portato al Pronto soccorso dopo essere stato trovato per strada in grave crisi ipoglicemica. Una patologia per cui, già in passato, aveva fatto accesso all’ospedale.

Qui, secondo la Procura, a un certo punto gli agenti sarebbero arrivati «senza che alcuno avesse richiesto il loro intervento». Poi avrebbero immobilizzato il paziente sulla barella, «incastrandogli le braccia tra le sponde, percuotendolo sul petto e al capo, uno di loro salendo con i piedi sul suo bacino mettendosi in posizione accovacciata, chiedendogli con insistenza se avesse assunto sostanze stupefacenti».

Sembra che gli agenti pensassero che fosse uno spacciatore. Ma lui è incensurato. A fare denuncia per questi comportamenti fu il direttore generale dell’ospedale. E nei fatti descritti la Procura ha trovato gli estremi per procedere per il reato di tortura: le pene (articolo 613 bis) per fatti commessi da un pubblico ufficiale vanno dai 5 ai 12 anni di carcere.

I difensori sono convinti di riuscire a dimostrare a processo l’estraneità degli agenti ai fatti contestati. O che al massimo si trattò di percosse o lesioni, non di tortura. Davanti al gup hanno evidenziato che si è trattato di lesioni di lieve entità, dicendo che non si poteva parlare di tortura. Il pm De Santis e l’avvocato di parte civile (Caterina Arcuri di Reggio Emilia) hanno invece rimarcato che l’articolo 613 bis parla di tortura per le modalità dell’aggressione, non per l’entità delle lesioni riportate. Il giudice Malvasi sembra aver condiviso questo orientamento. Il dibattito su questo punto potrebbe essere il cuore del processo.

Molto soddisfatto del rinvio a giudizio l’avvocato Arcuri: «Così come sono contestati nell’imputazione, sono fatti di enorme gravità – sottolinea – ed è doveroso andare in dibattimento per fare la massima chiarezza. Ci sono tre testimoni oculari di quello che è successo, personale sanitario, in grado di dare una ricostruzione indipendente. Attendiamo di sentirli». l