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«Se l’orrore è stato riconosciuto le radici non sono state tagliate»

Adriano Arati
«Se l’orrore è stato riconosciuto le radici non sono state tagliate»

Viaggio della Memoria, le riflessioni degli studenti tornati dalla Polonia

18 febbraio 2024
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Reggio Emilia Di fronte a un luogo dell’assoluto, dell’annientamento completo e programmato. Si è concluso il primo turno del Viaggio della Memoria 2024 promosso dall’istituto storico provinciale Istoreco, tappa iniziale di un progetto, vicino ai tre decenni di attività, che quest’anno porterà in totale 1350 reggiani – in gran parte studenti delle scuole superiori – in Polonia. A Cracovia, base delle operazioni, e soprattutto al vicino complesso di Auschwitz-Birkenau, il simbolo più dolente e celebre della Shoah ebraica e degli altri stermini programmati e attuati dal nazismo durante la Seconda Guerra Mondiale. Uno sterminato complesso costruito nella remota campagna polacca in cui sono state assassinate circa un milione e mezzo di persone, tra cui diversi reggiani.

Difficile rimanere inerti di fronte alle visite tra quelle baracche, quel fango e quei resti, sia quelli del campo di sterminio di Birkenau sia quelli di Auschwitz I. E sempre a Birkenau si è tenuto l’unico momento collettivo del Viaggio, dopo giorni di approfondimenti in lingua italiana e in gruppetti ridotti. Un ultimo atto prima di risalire in corriera verso l’Italia e dare un simbolico cambio alle classi che sono partite in queste ore. Un’occasione per ragionare su quanto visto. E sulle domande a cui, da ottant’anni, è tutto tranne che semplice dare risposta. «“Era pazzo? No, perché noi così lo giustificheremmo”. Così vorrei riassumere l’esperienza vissuta in questi giorni. Nonostante i momenti gioiosi, quelle che più hanno caratterizzato il nostro percorso sono state le immagini crude di un’umanità che di umano non aveva più nulla. Si susseguono taglienti come un coltello che provoca una ferita che non si rimargina. L’esperienza serve a questo», riflette Serena della 5 J del Russell di Guastalla.

Perché «Auschwitz non si ricorda, ma si attraversa, ci si immedesima nella vita di chi si aggrappava anche solo ad una piccola speranza pur di resistere un secondo in più. Auschwitz è uccidere. È disumanizzazione, è scelta, è il viso di quei bambini innocenti di fronte a quello di chi di consapevolezza ne aveva anche troppa; Auschwitz è la ferrovia, la fame, la morte, lo sfruttamento».

Ed è anche un appello alla responsabilità: «Auschwitz non racconta parole; solo grazie alle immagini e alla nostra memoria sarà sempre in grado di parlare». «Ogni passo fatto nel campo mi ha fatto pensare a quanti hanno compiuto lo stesso percorso che ho compiuto io quel giorno, soffrendo e piangendo la perdita dei propri cari. Questa esperienza mi ha segnato perché mi sono sentita colpevole, ho provato un senso di imbarazzo mettendo a confronto la mia condizione di vita, i miei agi e le mie lamentele con ciò che hanno vissuto persone che hanno perso la propria personalità», le fa eco una compagna di classe. «Gli ebrei entravano in questi campi come uomini senza diritti e uscivano come oggetti. Li rendevano tutti uguali fra loro, rasandoli e vestendoli nella stessa maniera. Ho riflettuto a quanto l’uomo si imponga a reprimere il diverso, piuttosto che l’odio. Questo orrore è stato riconosciuto ma le radici non sono state tagliate e oggi ancora c’è chi diffida dello sconosciuto per le sue origini, credenze e tradizioni, e neanche per questo ci sono parole», conclude Arianna, della 5 J guastallese.l