Gazzetta di Reggio

Reggio

Una firma in bianco e 600 euro per ottenere la residenza fittizia

Una firma in bianco e 600 euro per ottenere la  residenza fittizia

Avviso di chiusura delle indagini preliminari per l’ex messo comunale

01 marzo 2024
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i Ambra Prati

Reggio Emilia L’intero business illecito delle residenze fittizie ruotava intorno alla firma in bianco. La firma che lo straniero in cerca di residenza (presunto corruttore) apponeva sul modulo standard del Comune di Reggio Emilia per la dichiarazione di residenza, versando in cambio il corrispettivo (500 euro, 550 euro o 600 euro) per l’intermediazione al 31enne pakistano morto e all’ex messo comunale presunti corrotti.

Questi ultimi comunicavano in seguito l’indirizzo; con quella residenza in tasca l’immigrato poteva chiedere il certificato di stato di famiglia all’Anagrafe del Comune, presupposto indispensabile per ottenere dalla questura il tanto sospirato permesso di soggiorno. La residenza era il primo scalino per uscire dal limbo dell’irregolarità e dell’invisibilità, come ben sanno i senzatetto. È quanto emerge dall’avviso di chiusura delle indagini preliminari a carico dell’ex messo comunale (58 anni) accusato dei reati di falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale, peculato e corruzione.

L’atto, firmato dal pm Maria Rita Pantani (che ha ereditato il fascicolo dal pm Marco Marano) e dal procuratore capo Calogero Gaetano Paci, è stato notificato ieri al principale imputato e ai 37 stranieri.

L’indagine, condotta dalla polizia locale ed emersa nel dicembre scorso, ha svelato un giro d’affari corruttivo sulla pelle degli immigrati: al centro c’era colui che avrebbe dovuto essere il controllore, cioè l’ex messo notificatore del Comune. Secondo l’accusa il 58enne, in concorso materiale e morale con il deceduto, in servizio come messo notificatore comunale incaricato degli accertamenti di residenza sulle relative autodichiarazioni, «riceveva per sé denaro o altra utilità (o comunque ne accettava la promessa) per compiere un atto contrario ai doveri d’ufficio», intascando «quota parte» di quei 600 euro per redarre il verbale di accertamento secondo l’accusa in realtà mai svolto.

Torniamo indietro alle firme in bianco prezzolate. Qui subentrava l’ex messo comunale, che nel suo muoversi continuo sull’auto di servizio o non passava affatto da quelle strade oppure transitava e si fermava «due secondi», come ha registrato il gps sulla macchina: giusto il tempo di fare crocette sul modulo di iscrizione anagrafica «con esito positivo».

Così l’ex messo spuntava “a caso” (o meglio con la compiacenza di terzi che non è stato possibile identificare) le residenze di persone che a quegli indirizzi (non solo in zona stazione) nessuno aveva mai visto: cinque persone in via Gabelli, tre in via Emilia Ospizio, tre in via Paradisi, cinque in viale Risorgimento, quattro in via Balletti, quattro in via Wibicki, tre in via Turri, tre in piazzale Marconi, tre in via Lama Golese e ancora viale Piave, via Passo Buole, via Roma, via Lusenti e via dell’Abate.

Per girare girava parecchio, il 58enne, ma con finalità che nulla avevano a che fare con il servizio: da qui l’addebito di peculato. Secondo l’accusa, avendo l’uso dell’auto di servizio «se ne appropriava utilizzandola per finalità private», cioè per farsi i fatti suoi. Quando partiva dalla sede comunale di via Mazzacurati andava al supermercato a fare spesa, allo store specializzato in animali, alla Western Union di piazzale Marconi, a comprare frutta e verdura, a un panificio di via Cugini dove restava un’ora a chiacchierare con una donna, in vari bar di via Roma o al circolo Rosebud per trascorrere un po’ di tempo.

Nell’avviso di chiusura indagini sono confermati i 136 capi d’imputazione fotocopia, ma i fatti sono datati (dal 2018 al 2020) e la misura cautelare (prima i domiciliari, poi l’obbligo di firma) è stata emessa a distanza di quattro anni dai fatti, quando l’ex messo comunale non si trovava più a Reggio: per un anno è stato trasferito in Versilia e oggi, affetto da problemi di salute, non lavora più.

Tuttavia l’eventuale procedimento si preannuncia in salita. Il complice nella corruzione è morto e i 37 presunti corruttori (il reato di corruzione punisce in egual misura corrotto e corruttore) che devono rispondere anche del reato di errore determinato dall’altrui inganno (a essere stati ingannati sono stati l’Anagrafe e la questura) risultano per la stragrande maggioranza irreperibili: si tratta di marocchini, tunisini, indiani, cinesi, nigeriani.

«Stiamo valutando di chiedere un interrogatorio per chiarire la posizione – afferma l’avvocato Ernesto D’Andrea –. Il mio assistito è pronto a difendersi nel merito». l