Gazzetta di Reggio

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La condanna

Confermati 23 anni a Milan Racz per l’omicidio di via Stalingrado

Serena Arbizzi
Confermati 23 anni a Milan Racz per l’omicidio di via Stalingrado

Protesta dell’imputato alla lettura della sentenza: ha dichiarato di essere stato l’unico a pagare

03 marzo 2024
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Reggio Emilia La corte d’Appello di Bologna ha confermato la pena di 23 anni già inflitta dal tribunale di primo grado a Milan Racz, condannato per l’omicidio pluriaggravato di Angelo Iazzetta.

Il caso giudiziario è iniziato il 17 giugno 2021, quando Angelo Iazzetta è stato trovato nel suo appartamento di via Stalingrado – una laterale della via Emilia – adagiato sul letto: il cranio gli era stato fracassato contro il muro e aveva un occhio sfondato, segni di una colluttazione violenta. Il giorno successivo, Milan Racz è stato rintracciato con addosso il cellulare e le chiavi di casa della vittima ed è stato arrestato al porto di La Spezia. L’uomo aveva cercato di imbarcarsi con la fidanzata: più prove lo hanno incastrato. Come gli esami di laboratorio su una maglietta intrisa di sangue e altre tracce.

La morte di Iazzetta, 51 anni, risaliva, come riscontrò il medico legale, a quattro giorni prima, ovvero a sabato 12 giugno. L’omicidio maturò in un ambiente di marginalità, Iazzetta ospitava infatti spesso persone problematiche.

La corte d’Appello, nei giorni scorsi, ha confermato la condanna a 23 anni a carico di Milan Racz, dopo il ricorso dell’avvocato difensore, Enrico Della Capanna. Nel momento in cui è stata pronunciata la sentenza, l’imputato è esploso in un grido di rabbia, dicendo che lui sarebbe stato l’unico a pagare, mentre gli altri no. Tutto ciò ad alimentare ulteriormente l’eventualità che non tutto, rispetto a questa vicenda, sia stato adeguatamente chiarito.

Presenti all’udienza a Bologna anche l’avvocato delle parti civili, la figlia di Iazzetta, oggi maggiorenne, la sorella e il cognato. «Sicuramente è stato accertato come Racz sia stato responsabile del delitto – commenta l’avvocato Andrea Davoli, che assiste le tre parti civili, la figlia, la sorella e il cognato della vittima –. Tuttavia siamo convinti che la storia sia differente e che non ci sia soltanto un responsabile. Tante incongruenze sono state fatte emergere alla difesa, ma, del resto, dalle udienze non è mai emersa alcuna verità alternativa. Siamo, quindi, soddisfatti della sentenza, ma con tutti i dubbi del caso».

Le parti civili hanno ottenuto un risarcimento: per la figlia il giudice ha stabilito 50.000 euro e 20.000 euro per la sorella e il cognato.

Dalle motivazioni della sentenza di primo grado emerse come l’imputato, che aveva raccontato di aver trovato Iazzetta malmenato da altri e di averlo accompagnato in bagno a lavarsi, avrebbe mentito, «dipingendosi come l’amico affettuoso». In realtà «quella sera era arrabbiato e violento»: ha messo in atto «un’aggressione violenta e unilaterale su una persona con ridotte, se non nulle, capacità difensive».

Dalla «massiccia lesività» dei colpi e la loro pluralità, è ricavabile la volontà dell’imputato di provocare la morte. Il movente è cambiato più volte: dalla casa alla gelosia, fino a una somma di denaro ritirata tramite una Postepay lo stesso giorno. Inoltre, l’imputato sarebbe fuggito e avrebbe «reso una versione fuorviante», incompatibile con i fatti.