Gazzetta di Reggio

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L’ex colosso di Cavriago

Crac Burani, un “buco” da 58 milioni

Serena Arbizzi
Crac Burani, un “buco” da 58 milioni

Walter e Giovanni Burani a processo per bancarotta fraudolenta Nel mirino finanziamenti legati a un’attività iniziata nel 2003

07 marzo 2024
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Reggio Emilia Una bancarotta da oltre 58 milioni di euro che vede alla sbarra Walter e Giovanni Burani.

Si è svolta ieri mattina in Tribunale a Reggio Emilia l’udienza relativa a un nuovo capitolo della saga giudiziaria degli imprenditori che crearono e, successivamente, fecero naufragare la prestigiosa casa di moda Mariella Burani Fashion Group.

Il processo celebrato ieri vede imputati padre e figlio e ha preso corpo dopo il rinvio a giudizio pronunciato all’esito dell’udienza preliminare celebrata innanzi al giudice Luca Ramponi.

Il contesto è un nuovo filone di indagine proceduto più sottotraccia e successivo a quelli di Milano, dove l’ultimo processo si è concluso nelle scorse settimane. In questo caso, la competenza è del tribunale di Reggio Emilia.

La vicenda è molto articolata e si fonda su due contestazioni in particolare, entrambe inerenti il reato di bancarotta societaria per operazioni dolose che hanno concorso a provocare e ad aggravare il fallimento. Più in particolare, le due società coinvolte sono Design & Licenses (ex Mila Schon group, controllata al 100 per cento da Mariella Burani Fashion Group in liquidazione) e Mariella Burani Fashion Group (Mbfg).

Ieri mattina, davanti al collegio presieduto dalla giudice Cristina Beretti - a latere Francesca Piergallini e Silvia Semprini - è stata ascoltata come testimone l’avvocata Giulia Spaggiari, curatrice della D & L, nominata nel giugno 2012, come secondo curatore della società. Il fallimento di D & L è stato chiuso nel dicembre scorso. Spaggiari ha ricostruito le principali operazioni finanziarie su cui si snoda il caso davanti al pubblico ministero, agli avvocati Alberto Sirani, che tutela la curatela del Mariella Burani Fashion Group, e Stefano Borella, che assiste gli imputati Giovanni e Walter Burani.

Le accuse ruotano intorno a una serie di operazioni di finanziamenti e rifinanziamento legati a un’attività iniziata nel 2003 e sviluppata fino al 2008, con il coinvolgimento anche di L Capital, società del gruppo Louis Vuitton che ha agito tramite la società veicolo Sacap. A queste complesse operazioni di acquisto e vendita di azioni di Antichi Pellettieri si era proceduto mediante un ricorso al credito bancario e che avrebbero contribuito a causare il fallimento sia di D & L sia di Mbfg. Sacap sarebbe intervenuta sul capitale delle società del gruppo Burani con un accordo parasociale che non era noto al mercato. Sul mercato, infatti, si sapeva che la società avrebbe comprato il 30 per cento delle azioni della società del Gruppo Burani: credeva, in altre parole, in certe prospettive economiche del gruppo, quando in realtà, in partenza, era previsto un diritto di uscita a certi valori a distanza di cinque anni. Diritto di uscita che viene poi esercitato senza apparente motivo tramite una rinegoziazione dopo circa due anni, cioè molto prima del previsto. Ogni operazione è stata fatta per iniettare risorse nel precedente finanziamento. Quattro sono le operazioni finite sotto la lente di ingrandimento.

Alla fine di tutti questi movimenti, è rimasto un debito da parte di D & L verso Mariella Burani Fashion Group di oltre 58 milioni: si tratta della somma che risulta, a oggi, a conclusione di tutte le attività effettuate dalla curatela di D & L con la curatela di Mbfg. Somma che Mbfg non riuscirà più a recuperare anche perché, lo scorso dicembre, come detto, si è chiuso il fallimento della società D & L.

Questo processo segue i processi celebrati a Milano. Nel primo, gli imputati Giovanni e Walter Burani sono stati condannati a sei anni di reclusione per bancarotta fraudolenta (sentenza confermata fino in Cassazione). Nel secondo (concluso pochi giorni fa) per ulteriori ipotesi di bancarotta e aggiotaggio, i Burani sono stati condannati a un anno e quattro mesi per aggiotaggio, cioè per l’effetto della manipolazione del mercato per effetti speculativi tramite l’introduzione di informazioni, mentre le ipotesi di bancarotta sono state dichiarate prescritte. Nel caso di questo procedimento, la parte civile è la Consob (Commissione nazionale per la società e la Borsa).

Il colosso della moda di Cavriago era una cittadella del fashion che dava lavoro a oltre 2.200 addetti e a decine di aziende. In Borsa il valore del gruppo era arrivato a toccare 600 milioni.