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8 marzo

Donne, un miraggio le buste paga uguali: il divario è di 9mila euro all’anno

Stefano Luppi
Donne, un miraggio le buste paga uguali: il divario è di 9mila euro all’anno

Il 45% lavora part-time. «Penalizzate: gli uomini aiutino più in casa»

08 marzo 2024
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Destò scalpore a Bologna nel 1525 la notizia della prima donna, Properzia de’ Rossi, entrata a far parte dell’importante cantiere di San Petronio: la “femmina schultora”, l’unica artista femminile presente nelle Vite cinquecentesche di Giorgio Vasari, aggiungendo scandalo a scandalo ottenne per le sue sculture una paga simile a quella dei colleghi scultori maschi. Una parità di stipendi per cui 500 anni fa non c’era alcuna sensibilità, ma che purtroppo ancora oggi è ben lontana dall’essere stabilmente raggiunta, in Emilia Romagna come nel resto d’Italia.

E così il problema del “gender pay gap” - il divario retributivo di genere - continua ad esistere e andrebbe segnalato sempre, non solo oggi in occasione dell’8 marzo Giornata internazionale della donna quando le iniziative ovviamente non si contano (né gli scioperi, come annunciato dai metalmeccanici Cgil di Reggio). Numeri nazionali All’interno dell’universo della parità tra donna e uomo un ruolo fondamentale lo riveste il lavoro femminile: i dati Istat 2023 ci dicono che in Italia esso è aumentato da circa il 33% delle donne negli anni ’70 al 57,3% di oggi, percentuale che però è di quasi 15 punti inferiore alla media Ue. Inoltre il “Gender employment gap” di Eurostat rileva che il nostro paese è penultimo in Europa per il rapporto tra uomini e donne che lavorano e questo nonostante le studentesse ottengano nella stragrande maggioranza dei casi voti migliori rispetto agli studenti maschi alle scuole superiori e all’università visto che diplomate e laureate sono più dei maschi (il 65,7% contro il 60,3% rispettivamente per donne e uomini diplomati e il 23,5% contro il 17,1% per donne e uomini laureati). La situazione resta terribile anche per altri “particolari”.

La busta paga delle donne è mediamente più bassa a parità di occupazione e ore lavorate: il gender pay gap ha così raggiunto i 7.922 euro annui nel nostro Paese, secondo il Global Gender Gap Report 2023 prodotto dal World Economic Forum. La parità - ed è forse il dato maggiormente scandaloso - in busta paga tra uomini e donne viene così annunciata per il 2154, tra ben 130 anni. Ancora: oggi le donne occupate in Italia sono circa 9,5 milioni mentre i maschi sono circa 13, ma una donna su cinque esce dal mercato del lavoro a seguito della maternità (ancora troppo pochi, ad esempio, nonostante siano in crescita, gli asili nido come rivela uno studio della Camera dei deputati di fine ’23). Un figlio dunque penalizza fortemente la carriera delle donne e lo fa quasi dappertutto nel mondo, come hanno rilevato nella ricerca “The Child Penality Atlas” svolta in 134 paesi dai ricercatori anglosassoni Henrik Kleven, Camile Landais e Gabriel Leite-Mariante.

In Emilia Romagna

Nella regione dove, secondo dati Istat, la presenza delle donne nel mondo del lavoro è cresciuta nel ’23 di 2700 unità (+0,3%), la parità di genere se guardiamo agli stipendi continua a essere un miraggio. Tra Piacenza e Rimini, infatti, scandalosamente una donna percepisce il 32% in meno in busta paga rispetto agli uomini. Lo rilevano numeri dell’Inps elaborati dall’Ires Cgil: la retribuzione media lorda annua degli uomini in Emilia Romagna nel ’22 (ultimi dati disponibili) era pari a 28.710 euro contro i 19.413 euro delle colleghe. Una differenza di oltre 9mila euro, appunto il 32,4% (il dato medio italiano è leggermente inferiore, al 30,2%, ma anche i redditi medi nazionali sono leggermente più bassi rispetto agli emiliani). Le differenze si assottigliano, ma restano pari a 6mila euro, se si comprendono solo i contratti a tempo pieno e indeterminato escludendo i part time quasi sempre volti al femminile: si giunge a circa 34mila euro annui contro circa 41mila.

«Questi numeri - dice Giuliano Guietti, presidente di Ires Emilia Romagna - sono fortemente influenzati dai settori nei quali è concentrata l’occupazione e in particolare dalla presenza o meno di part-time e di contratti a termine o stagionali. E il divario retributivo è particolarmente accentuato in attività come commercio, ricettivo, ristorazione, attività finanziarie e assicurative, sanità». I commenti Che fare? «Il gender gap comincia in famiglia - spiega Mara Panajia, presidente e amministratrice delegata di Henkel Italia - e se non si vogliono aspettare i 132 anni previsti dal Global Gender Gap Report per il raggiungimento delle pari opportunità bisogna cominciare dalla condivisione dei compiti in casa e dal congedo parentale obbligatorio per i padri». Interviene anche Isabella Pavolucci della segreteria Cgil Emilia Romagna, delegata a politiche di genere e pari opportunità: «In Emilia Romagna il gender pay gap produce un differenziale del 32% tra gli stipendi di uomini e donne e troppo spesso questa differenza si lega alla condizione di precarietà occupazionale che riguarda tutti ma vede le donne protagoniste. Ricordo infatti che nella regione quasi il 45% delle lavoratrici ha un lavoro part-time, spesso non volontario e obbligatorio per conciliare vita privata e lavoro visto che le cure di figli e anziani ancora quasi sempre spetta alle donne svolgerle. Ne usciremo solo se si avvierà un processo culturale rispetto alla parità dei generi. In Emilia Romagna per tanti parametri si vive bene, ma questi numeri sono gli stessi italiani e non aiuterà certo l’autonomia differenziata che potrebbe fare mancare risorse utili a diminuire le disparità».

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