Gazzetta di Reggio

Reggio

La denuncia

Le strappa il velo e la picchia dopo un litigio stradale

Serena Arbizzi

	(foto d'archivio)
(foto d'archivio)

Reggio Emilia: la mediatrice Ait Yahia denuncia la violenza subìta da una 50enne. «È istigazione all’odio razziale»

16 marzo 2024
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Reggio Emilia È stata aggredita da una sconosciuta che le ha strappato il velo, mentre le gridava insulti di ogni tipo. Protagonista dell’episodio, verificatosi lo scorso ottobre, una cinquantenne di origine magrebina, in Italia da diverso tempo. La donna era in via Adua per fare la spesa: ha parcheggiato l’auto e ha urtato involontariamente la macchina accanto alla sua. La cinquantenne è scesa per verificare se ci fossero danni e mentre stava risalendo a bordo ha sentito le urla fortissime di un’altra donna.

“Animale, ignorante, non sai guidare, ti spacco la faccia”: questi alcuni degli insulti che la cinquantenne ha ricevuto dalla donna accanto a lei. Tutto ciò davanti alle telecamere di un esercizio commerciale. Nonostante le scuse e il fatto che non ci fossero danni all’auto, l’altra donna continuava a urlarle in faccia e a spintonarla.

«A un certo punto, quella donna l’ha colpita forte, finché non è caduta a terra e le ha strappato il velo dalla testa, nonostante ci fossero passanti», spiega Ihsane Alt Yahia, consulente per l’immigrazione che ha assistito la donna nelle pratiche necessarie per la denuncia. La donna è assistita dal punto di vista legale dallo studio dell’avvocato Angelo Russo.

«Era un odio cieco, quello della donna che si è avventata contro la cinquantenne, e la macchina non aveva alcun graffio, eppure la reazione è stata così eccessiva – continua la consulente –. È stata un’aggressione molto violenta e si è interrotta quando un uomo ha placato l’ira di quella donna che noi accusiamo di tentato omicidio. E si tratta anche di un attacco razziale per il velo strappato».

I reati per i quali è stata presentata denuncia, quindi sono: lesioni personali, tentato omicidio e istigazione all’odio razziale.

«Ho accompagnato in tutte le pratiche necessarie a sua tutela – continua la mediatrice culturale –. Lei ha denunciato l’episodio subito dopo ma mancavano tanti elementi, quindi abbiamo dovuto rettificarla. La signora è rimasta talmente traumatizzata che per quasi un mese non è uscita di casa e non ha lavorato per più di un mese. La prognosi, inizialmente, era di sette giorni, poi aumentata fino a un mese, corredata da dolori al collo, alla schiena e in tutto il corpo. In più aveva anche il volto graffiato. Sia lei che la figlia per più di un mese non uscivano per paura di essere riconosciute e perseguitate. Attualmente è seguita da uno psicologo per gli attacchi di panico. Un episodio del genere non le era mai successo, soprattutto non se lo sarebbe mai aspettato da una donna».

«La protagonista, suo malgrado, di questo episodio è una cinquantenne, di origine nordafricana, di fede musulmana e cittadina italiana da oltre 10 anni: lavora ed è ben integrata – specifica Ihsane Ait Yahia –. Le donne musulmane sul territorio devono sapere che non sono sole e se sono coinvolte in questi casi, non devono tacere, ma denunciare. Sappiamo che si sono verificati altri episodi, infatti, che non sono stati denunciati. E spesso, quando ci sono conflitti internazionali come quello in Medio Oriente, si genera una spirale d’odio che si rivolta contro le donne: subiamo, quindi, razzismo».