Gazzetta di Reggio

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«Alla Gen Z serve rappresentanza, deve partecipare fuori dai social»

Bianca Miconi*
«Alla Gen Z serve rappresentanza, deve partecipare fuori dai social»

L’intervista al politologo reggiano Massimiliano Panarari

26 marzo 2024
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Politologo, sociologo della comunicazione e professore all’Università di Modena e Reggio Emilia, in questa intervista Massimiliano Panarari ci ha offerto la sua particolare lettura del rapporto tra politica e Generazione Z.

Valuta importante la partecipazione dei giovani alla politica? Secondo lei, ne sono interessati?

«Sicuramente è molto importante, altrimenti una democrazia si ritroverebbe a vivere un deficit di legittimità e rappresentanza che potrebbe arrivare a minacciare la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni. Questo è il caso della post-democrazia in cui siamo immersi e che ha indebolito le democrazie rappresentative. In primo luogo, i giovani dovrebbero partecipare per una questione di rappresentanza diretta. Infatti, la democrazia liberale è un “luogo” di conflitti regolamentati nella quale i diversi punti di vista dialogano tra loro in maniera dialettica per arrivare a una sintesi. Per raggiungerla, però, bisogna che tutte le parti anagrafiche siano adeguatamente rappresentate. In secondo luogo, visto che le ultime generazioni hanno la possibilità di vivere più a lungo, bisogna che avanzino il loro punto di vista altrimenti il governo, come quello italiano, diventa gerontocratico. In parole più semplici, le persone più anziane risulterebbero più rappresentate, senza cogliere le sensibilità giovanili nella gestione politica. Bisogna che i giovani trovino dei canali di rappresentanza, come sindacati, comitati, associazioni o organizzazioni, messi in crisi della post-democrazia a causa della disintermediazione agevolata dalle piattaforme digitali. Queste ultime non sono adatte alla partecipazione politica: c’è bisogno di una partecipazione fisica, nelle piazze, attraverso riunioni e dibattiti».

Ritiene che il governo in carica abbia un interesse genuino per certi movimenti giovanili o che questi vengano strumentalizzati per fini propagandistici?

«Nel momento in cui le istanze dei giovani diventano lo spirito dei tempi si tende ad ascoltarle, per esempio, in un’ipotetica fase di transizione ecologica. Il cambiamento climatico è un tema importante che rientra all’interno del dibattito mediatico e su questo anche le classi dirigenti tendono ad ascoltare. Ma bisognerà vedere con quanta genuinità e quanta adesione. Va detto che la Generazione Z fa fatica ad imporsi per un motivo oggettivo legato all’organizzazione: la politica è fatta di consenso e rapporti di forza e in Italia, numericamente, i giovani contano poco quindi il politico è meno interessato a un gruppo che fa molta fatica ad organizzarsi e a costruire le sue istanze. Le generazioni più giovani vivono un clima iper individualista perché ci sono nati ma non ne hanno responsabilità, per questo faticano a trovare delle piattaforme comuni. Le generazioni più grandi, invece, che hanno vissuto la politica come organizzazione di riferimento e che sanno far pesare i loro punti di vista, vengono ascoltate. I giovani contano poco e quindi i politici vanno alla ricerca di istanze che siano maggiormente capaci di garantirgli le elezioni».

Pensa che l’utilizzo dei social media si posizioni a favore o a sfavore di una eventuale propaganda politica?

«Le piattaforme digitali garantiscono disintermediazione perché lì io, politico, non devo affrontare la contestazione del giornalista ma mi riferisco direttamente agli elettori creando un rapporto diretto, oltre che possibilmente gratificante con il cittadino, tutelandosi rispetto alle domande scomode. Un secondo motivo riguarda una questione centrale in politica: la democrazia costa e richiede delle risorse. Grandi interessi privati sono diventati sempre più rilevanti rispetto alla politica che significa fare manifesti, mandare volantini, organizzare dei call center, richiamare i cittadini in occasione delle elezioni, fare marketing. Tutto questo crea degli squilibri e il fatto che i social media sono gratuiti, per ciascuno di noi, rappresenta un vantaggio per i politici. In termini molto generali, le piattaforme digitali sono un mezzo di comunicazione neutrale dunque dipende dall’utilizzo che se ne fa, che può essere positivo o negativo, a seconda delle circostanze e dell’utenza. Non c’è dubbio che i social media hanno rappresentato una grande occasione di autocomunicazione di massa, consentendo potenzialmente a tante persone di dire la loro, ma, al tempo stesso, presentano grossi rischi che riguardano la qualità del dibattito dell’opinione pubblica all’interno della circolazione delle idee».

Lei crede che la distanza generazionale sia giusta e naturale o che la comunicazione tra le due fasce anagrafiche sia un obiettivo sociale necessario da raggiungere?

«Non ho una risposta chiara. La distanza tra generazioni è sempre esistita nella storia dell’umanità, naturalmente si è acuita man mano che la vita media durava di più. Nel Novecento nasce la categoria degli anziani per tante ragioni, tra cui alcune concrete che hanno a che fare con il miglioramento della qualità della vita, della scienza e della medicina. Le persone anziane oggi sono anche di più dei giovani. Il conflitto generazionale è normale perché gruppi che hanno interessi diversi vogliono ottenere le stesse risorse. Tutto questo genera frizioni e distanza, crea fatica nel capire le nuove istanze. In questi quarant’anni, a causa dello sviluppo esponenziale delle tecnologie, lo scenario è cambiato come mai era successo. Questo è un tema vero e preoccupante che ha bisogno di collaborazione, se non si trovano elementi di collaborazione rischiamo davvero di entrare in una situazione di conflitto che non è reversibile. Una società ha bisogno che le persone trovino strade comuni, altrimenti rischia di andare in frantumi».

*Studentessa del liceo Moro