Gazzetta di Reggio

Reggio

Fabio Sirotti: «Sono l’allenatore che non ho avuto»

Alex Bettuzzi e Letizia Bertani*
Fabio Sirotti: «Sono l’allenatore che non ho avuto»

Oggi guida l’under 17 di Pieve Volley

26 marzo 2024
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Con quasi quarant’anni di esperienza, anche nella massima serie, Fabio Sirotti racconta la sua carriera di allenatore di pallavolo. Quando ha cominciato, nel 1985, aveva soli 21 anni.Oggi guida l’under 17 Pieve Volley.

Com’è lavorare con i ragazzi?

«Ho iniziato per una sfida: ho voluto essere l’allenatore che non ho mai avuto. Poi ho continuato perché a lavorare con le persone e con i giovani si ricevono molte soddisfazioni. È un mondo che si evolve continuamente e non puoi permetterti di fermarti: sentirsi già completi non permette la crescita».

Essendo lei anche professore, ci sono degli insegnamenti che riporta ai suoi alunni?

«Ho fatto sia sport di squadra sia individuali che mi sono serviti molto per scontrarmi contro me stesso e contro gli altri. Come insegnante di educazione fisica cerco di proporre un po’ di tutto ai miei alunni compresa la pallavolo, così da insegnare ai ragazzi a giocare di squadra, a ragionare molto velocemente e ad essere sempre pronti. Una cosa che mi colpì molto fu, quando ero in nazionale, un cartello scritto dall’allenatore che diceva “essere pronti è tutto”. Io la condivido molto questa affermazione».

Cos’è per lei lo sport?

«Una dittatura democratica dove l’allenatore deve dirigere la squadra cercando la maggiore democrazia possibile per coinvolgere i giocatori. È un termine molto preciso che dice che c’è solo uno che comanda la squadra, a seconda dei giocatori che si ritrova, facendo un’analisi psicologica molto precisa e approfondita».

Perché proprio la pallavolo? Quali sono i valori per cui ha scelto questo sport?

«La pallavolo mi ha attratto per i suoi aspetti di carattere psicologico, è lo sport più di squadra che ci sia: le squadre sono divise da una rete pertanto nella pallavolo si litiga con i compagni e non con gli avversari. Un altro particolare straordinario della pallavolo è che un giocatore non chiede aiuto ai compagni, ma sono i tuoi compagni a tendere la mano: infatti un atleta deve pensare prima a se stesso, per poter dare il meglio di sé alla squadra. Nella pallavolo credo che questo aspetto sia determinante e meraviglioso».

Era questo che sognava o aveva altri progetti in mente?

«Ho sempre avuto sogni molto modesti. Ero bravo come giocatore però non ho mai avuto degli stimoli particolari da parte del mio allenatore, cosa che invece io sto cercando di dare ai miei atleti. Il mio sogno era di giocare in serie D, poi, quando ho fatto il corso per diventare allenatore, puntavo ad allenare la serie B. Tre anni dopo grazie alla mia rigidità e organizzazione sono arrivato in serie A».

Un consiglio che ha da dare ai giovani?

«Di avere un impegno costante, non solo nello sport. Bisogna fare delle scelte ed essere coscienti. Io ho la pretesa di insegnare ai ragazzi ad usare la loro testa».

*Studenti del Silvio d’Arzo di Sant’Ilario