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L’intervista

Caso Bibbiano. Foti a Reggio Emilia dopo l’assoluzione: «La politica? Ora se ne infischia»

Serena Arbizzi

	Da sinistra l'avvocato Luca Bauccio e Claudio Foti
Da sinistra l'avvocato Luca Bauccio e Claudio Foti

Lo psicoterapeuta al Binario 49 per presentare il libro “Bibbiano, dubbi e assurdità”. «L’accusa nei miei confronti è stata cavalcata senza che fosse stata verificata»

15 aprile 2024
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Reggio Emilia «La politica prima ha creato scandalo per ragioni elettorali e ci ha marciato sopra, poi se n’è infischiata». Lo psicoterapeuta Claudio Foti, assolto anche in Cassazione cinque anni dopo la deflagrazione dello scandalo affidi in Val d’Enza, parla a tutto tondo dei vari aspetti della vicenda.

Foti, l’avrebbe mai detto cinque anni fa che sarebbe arrivato questo momento?

«Per 40 anni ho fatto lo psicoterapeuta, ho fatto del mio meglio per impegnarmi e sono tuttora impegnato nella prevenzione e nel contrasto della violenza sui minori, ho insegnato, scritto un sacco di pubblicazioni, ho istituito un’associazione che era la principale agenzia formativa sull’ascolto dei bambini e sull’intelligenza emotiva. Quando mi hanno fermato all’imbocco del “Sentiero degli dei” davanti ai miei tre figli per arrestarmi ho provato uno sconcerto che poi è rimasto. Mi aspettavo questo esito: assolutamente sì. Dopo la condanna in primo grado, a quattro anni di reclusione, ho scritto il libro che presentiamo venerdì a Reggio Emilia al Binario 49 “Bibbiano: dubbi e assurdità, hanno ucciso Hansel e Gretel” (Alpes). L’ho scritto prima della sentenza. Razionalmente sapevo di avere tutte le ragioni del mondo».

C’è una relazione tra abusi inascoltati alle donne e abusi ai minori?

«Sì, certo che c’è questa analogia: anche in questo caso occorre cautela. L’esame clinico e giudiziario dei singoli casi delle rivelazioni di bambini o donne adulte richiede l’ascolto rigoroso e ogni caso è a sé. Passando dall’analisi del singolo caso alla valutazione del fenomeno generale dobbiamo concludere che la violenza sessuale contro le donne adulte e i bambini è una questione prioritaria di sanità pubblica. Altra caratteristica unificante per donne e bambini potenzialmente vittime di violenza è che hanno paura di denunciare. Devono affrontare sensi di colpa, vergogna e hanno paura di ostacoli esterni, il timore di non essere presi sul serio».

La politica si è assunta le sue responsabilità sull’inchiesta Angeli e demoni? Cosa avrebbe dovuto fare e non ha fatto? Cosa dovrebbe fare adesso?

«No, non si è assunta le proprie responsabilità. Prima ha creato scandalo per interessi elettorali, ci ha marciato sopra, poi se n’è infischiata. Sono state sfruttate le tragedie dei minori senza un adeguato approfondimento. Io ne sono uscito e sono vivo ma penso a tutti quelli che sono ancora sulla graticola. Cosa dovrebbe fare adesso la politica? Dovrebbe prevalere una visione culturale – e anche gli esperti dovrebbero avere una funzione – per superare la logica di aut aut: ci sono quelli che difendono la famiglia come un’istituzione assolutamente sacra, da un lato, dall’altra chi difende i minori. Bisogna superare questa contrapposizione. Un grande psicanalista inglese diceva che una comunità che ha a cuore i bambini deve avere a cuore i genitori fragili. I genitori vanno aiutati sul piano sociale, ecologico ed economico più di quanto non si faccia adesso. Bibbiano è la contrapposizione ideologica, io ero etichettato come il boss degli affidi, ma io non ho seguito nessun affido. Queste semplificazioni mostruose si sono riversate su operatori che hanno dedicato la loro vita ai minori».

C’è una via nuova per riconciliare le parti opposte?

«Il segreto istruttorio e il principio di presunzione d’innocenza sono stati calpestati. Invece di innocente in attesa di giudizio, ero diventato colpevole in attesa di condanna. Serve una riflessione sul processo mediatico e giudiziario (quest’ultimo ha bisogno di tempi più complessi). Non si è usato il condizionale nel descrivere il processo, tutti i verbi sono all’indicativo, i fatti hanno la qualità dell’evidenza assoluta e questo rischia di anticipare e incidere sul processo giudiziario».

Quale pensa che sia l’errore più grande commesso nella sua vicenda?

«A livello giudiziario, non ho risentimenti. Io mi sono salvato perché non ho coltivato la rabbia, ho coltivato l’accettazione. Ho praticato molta meditazione. L’errore della Procura è stato aver cavalcato l’accusa senza verificarla, senza mettere in dubbio l’assioma da cui partiva. La mia innocenza era evidente: bastava guardare il modo rispettoso con cui conducevo i colloqui. È stata data importanza a consulenze prive di valore, come ha chiarito la Corte d’appello e ancora prima ho ricevuto manifesto di solidarietà di 228 psicoterapeuti che hanno preso posizione contro i ragionamenti pseudoscientifici che sostenevano la mia accusa».

Come commenta la vicenda ancora in corso?

«Non dico nulla nel merito per rispetto dei giudici. Nel mio caso c’è stato un meccanismo di rettifica importante. Dico solo che conosco quelle persone e raramente ho visto operatori così sinceri, assistenti sociali e psicologi efficienti e sensibili. Anche la Procura si avvaleva del loro lavoro, prima di questa shitstorm. Mi dispiace sapere che dovranno stare ancora sulla graticola. L’inchiesta ha attaccato fortemente il sistema di protezione sociale dei più deboli. È aumentata la diffidenza».

Di cosa si occupa adesso?

«Per fortuna ho sempre lavorato e ci sono sempre state persone che hanno continuato a chiedermi assistenza. In questi anni ho scritto più libri. A inizio maggio uscirà “Lettere dal trauma” (Alpes), ovvero 40 anni di corrispondenze con pazienti che mi interpellano sui loro problemi, o chi mi rivolge i suoi interrogativi. Entro fine anno uscirà la biografia di questi cinque anni di prova difficile. Non so ancora come si intitolerà, forse “Sopravvissuto”. Ho fondato l’associazione Minori e diritti con chi mi ha conosciuto e mi è stato più vicino nella sofferenza».  © RIPRODUZIONE RISERVATA