Andrea Libero Gherpelli: «Non dovremmo vantarci perché abbiamo raggiunto un’alta percentuale di raccolta differenziata»
L’attore-agricoltore di Correggio si racconta: «Chi usa di più oggi la parola sostenibilità? Purtroppo le agenzie pubblicitarie»
Da “Casa Vecchia” ad “Agricoltori Custodi Correggio”. Una bellissima storia che, iniziata nel 1933 a Prato di Correggio, non si è più interrotta. Oggi a riscriverla, alle spalle tre generazioni, è Andrea Libero Gherpelli. L’innovazione nella tradizione è quella che l’attore contadino (dai set alla campagna, dove ritorna sempre, è un attimo) sta portando avanti su venti ettari di terra, sempre a Prato, con l’amata compagna Elena Luce, papà Romano e mamma Laila. E sfogliando il ricco catalogo dei prodotti Natura Maestra, dal 2018 un marchio di qualità e insieme d’intenti, si assapora un mondo etico, buono, sano, ecologico. E sostenibile. Perché tutte le materie prime derivano da varietà di semi storici, autoctoni, naturalmente antichi e botanicamente puri, privi di manipolazioni e forzature genetiche. Una sfida vinta ma soprattutto avvincente. Che conosce solo una regola: rispettare, e ascoltare, madre natura. Sempre.
Biodiversità
«Potremmo tutti essere tanto di più rispetto a quello che già siamo – risponde Andrea Gherpelli quando gli chiediamo in che ordine possiamo definirlo attore contadino –. Ma siamo stati educati nello scommettere su una cosa di noi e solo su quella. E la società è ancora ferma lì. La natura, che è maestra, trasmette invece l’importanza della biodiversità. Questo insegnamento per me è fondamentale. Ho sempre cercato di esprimere la mia stessa biodiversità sperimentando in più campi, dall’agricoltura alla recitazione all’arte. Fondamentale è cercare di capire quali possono essere le nostre possibilità di sviluppo creativo e portarne avanti più di una». Perché «madre natura cerca di costruirsi le migliori condizioni per potersi esprimere al meglio, non le interessa se un fiore viene giallo o blu. Le interessa produrre anche quello al meglio. Dovremmo fare lo stesso. Invece noi le condizioni che viviamo le subiamo fingendo di essere liberi con le tante cose che facciamo nei week end. Esprimendo la nostra persona invece potremmo correre il rischio di sentirci non contenti ma addirittura felici... Che poi alla fine sentirti un po’ infelice serve, altrimenti viene a mancare quel qualcosa che ti porta a cercare e a coltivare un’illusione».
Un pensiero, quello di Gherpelli, permeato di sostenibilità. Intesa come modo di essere ancora prima che come obiettivo da raggiungere magari platealmente. «Chi ha avuto il privilegio di essere nato e cresciuto in campagna, e ha visto i nonni tenere i semi in casa – spiega Gherpelli – sa che la sostenibilità è un ingrediente fondamentale delle regole di madre natura. Noi viviamo sul pianeta Terra, ci stiamo seduti sopra, ma se potessimo guardarlo dall’altro, trasformandoci in aquilotti, capiremmo che ce ne siamo allontanati da tempo non rispettando le regole della natura. Lo strappo è avvenuto. Altrimenti non saremmo qui a invocare la sostenibilità. Anzi, non dovremmo neppure parlarne come non se ne parlava un tempo». O almeno non abusarne. «Chi usa di più oggi la parola sostenibilità? Purtroppo le agenzie pubblicitarie, gli uffici stampa, i copywriter. Questo perché oggi sempre più persone, avvertendo lo strappo, rendendosi conto di avere perso ogni contatto con la natura, e di non starci bene, chiedono un cambiamento. Ma rielaborare un piano sistemico partendo dall’inizio, dalla genesi del prodotto, richiede tempo e molto accorato lavoro. E allora si punta sul capello o sul vestito con l’obiettivo di intercettare un pubblico che si è spostato. Pronto a spendere e che vuole altro. Da qui la caccia a nuovi possibili acquirenti. Una volta costruito il carnevale sulla sostenibilità, preparato lo spettacolo e dato in pasto ai media, il resto non conta più. Ma è chiaro come sia un trasformismo troppo veloce per essere anche sostanziale e reale». Si chiama Greenwashing.
Rifiuti
Il problema invece esiste, è macroscopico, ed è reale. «Umberto Galimberti, recentemente, citando il Pnud (il programma delle Nazioni unite per lo sviluppo) ha ricordato che noi occidentali rappresentiamo il 20% sul pianeta e consumiamo l’80% delle risorse. Houston, abbiamo un grosso problema. Ed è anche inutile ormai scendere in piazza: la vera rivoluzione si fa nelle scelte di tutti i giorni. Chi di noi non ha in casa ad esempio un maglione di pile a basso prezzo? Pur sapendo che è come se indossassimo della plastica che poi andrà smaltita appositamente perché non eco-prevista quindi non eco-sostenibile. Così come non dovremmo vantarci perché abbiamo raggiunto un’alta percentuale di raccolta differenziata o di riciclaggio e neppure dovrebbe rendere sereni il fatto che ci siano le discariche dove portare ciò che non serve più. Tanto c’è la discarica… Non saremmo dovuti neppure arrivare a questa necessità».
E si ritorna da dove si era partiti, l’agricoltura, croce e delizia, estremamente coinvolta nella costruzione del nostro futuro. «Nelle azioni di oggi c’è la qualità della vita di domani. Compito dell’agricoltura – sottolinea Gherpelli – è da sempre cercare di gestire la potenzialità della natura e c’è stato un tempo in cui l’agricoltura era solo virtuosa e non poteva essere che nel totale rispetto degli elementi. Poi, molte cose sono cambiate, peggiorando, le abbiamo sentite sulla nostra pelle. E oggi cominciamo a farci delle domande. Perché, per esempio, i terreni perdono fertilità o le farine iniziano a darci fastidio? Non è sempre stato così. Fino a quando, per necessità tecnologiche e non umane, si è iniziato a produrre materie prime facilmente lavorabili ma non più in armonia con la natura. E mettere in circolo alimenti non rispettosi della natura vuole dire non avere rispetto degli altri ma neppure di noi stessi. Prima o poi la Natura chiede il conto e resetta».
Il futuro
Andrea Gherpelli, forte di un passato che conteneva in sè il futuro, ha studiato e continua a farlo. Segue percorsi formativi in agricoltura organica, rigenerativa e biodinamica, unendo questi approcci alle buone pratiche agricole dell’antica tradizione. «L’agricoltura – spiega – è nata per alimentare in modo salutare le persone nel rispetto della terra. Per questo ho riportato alla luce semi antichi che contengono questi valori. Mi sono accorto che questi cereali che coltivo sono talmente esperti, avendo tante vite nella loro memoria secolare, che hanno maturato un’estrema capacità di adattamento. In campagna ho veri e propri alleati che sono molto più intelligenti di me e in questo modo la mia agricoltura diviene da sè sostenibile perché al servizio del mantenimento in salute dell’uomo e della natura. Approccio virtuoso dalla sua genesi. Se invece uso cereali mal selezionati di nuova generazione e che non hanno accumulato esperienza, avranno bisogno di aiuti, dovrò intervenire nel loro sviluppo vegetativo e l’agricoltura così non sarà più sostenibile, ma viziosa. Questa deriva vale in ogni ambito».
Ma nella quotidianità, quanto possiamo essere virtuosi? «Io non vivo in un eremo – puntualizza Andrea – prendo aerei, sono costretto spesso a mangiarmi un panino preso al volo e ad avere con me un cellulare. Ma non dobbiamo smettere di guardarci intorno: ci sono cose enormi, più grandi di noi, che al momento non possiamo cambiare e altre invece essenziali sulle quali dobbiamo lavorare. Se non iniziamo dai servizi imprescindibili di cui tutti abbiamo bisogno allora non abbiamo futuro. Ci vorranno generazioni per un profondo cambiamento, mia figlia qualcosa riuscirà a vedere, ma dobbiamo partire da qui. Lavorare sulle utopie e renderle sogni e poi realtà».
«Ciao tesoro! Il papà è tornato a casa». Un altro viaggio è finito. E la nostra chiacchierata anche. Noa Celeste, la piccolissima di Casa Gherpelli, rivendica una scorpacciata di baci e abbracci.