Gazzetta di Reggio

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Le motivazione della sentenza

Saman: «Non si può escludere che l’abbia uccisa la mamma»

Jacopo Della Porta
Saman: «Non si può escludere che l’abbia uccisa la mamma»

Depositate le motivazioni della sentenza a tre anni dal femminicidio. Per i giudici non c’è la prova della premeditazione

30 aprile 2024
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Novellara I genitori di Saman, Shabbar e Nazia, «hanno letteralmente accompagnato la figlia a morire» e non si può escludere che sia stata la mamma l’esecutrice materiale del delitto, sebbene sia rimasta fuori dall’inquadratura delle telecamere dell’azienda per meno di un minuto. E’ quanto emerge dalle motivazioni della sentenza sul delitto di Saman, depositate martedì 30 apirle dalla presidente della Corte Cristina Beretti e dalla collega Michela Caputo (che è l’estensore), in occasione del terzo anniversario del delitto, avvenuto il primo maggio 2021.

Il 19 dicembre, la Corte ha condannato i genitori all’ergastolo e lo zio Danish Hasnain a 14 anni. I cugini, Ikram Ijaz e Nomanulhaq Nomanulhaq, invece, sono stati assolti. Secondo i giudici, “può dirsi indiziariamente accertata la comune volontà degli imputati di commettere l'omicidio della loro stessa figlia, la presenza di entrambi sul luogo del delitto, e il comprovato apporto fornito alla realizzazione dell'evento”.

La Corte ritiene che il delitto sia stato concordato dai genitori nel corso delle telefonate intercorse la notte del 30 aprile 2021 con lo zio Danish, poco prima che venisse messo in atto. Le prove portate dalla procura per sostenere la tesi della premeditazione sono state ritenute insufficienti. Nello specifico, si tratta del video del 29 aprile che mostra lo zio e i cugini andare nei campi con le pale, le dichiarazioni di Alì Haider, quelle di due detenuti del carcere della Pulce e la fuga del nucleo familiare da Novellara: tutti elementi che possono essere interpretati in modi alternativi rispetto a quelli proposti dalla procura.

Il movente

«L'istruttoria e la dialettica processuale hanno consentito di chiarire che Saman Abbas non è stata uccisa per essersi opposta ad un matrimonio combinato/forzato». È uno dei passaggi sicuramente più dirompenti, nelle 612 pagine delle motivazioni della sentenza. Si tratta, chiarisce la Corte, di un «elemento che nulla toglie e aggiunge alla gravità del fatto» ma di «una verità che la Corte è tenuta a rilevare».

Il contesto familiare della vittima viene definito «'certamente chiuso, oltre che legato a retaggi culturali propri del paese d'origine, che però prima del drammatico epilogo della vicenda non aveva manifestato comportamenti o segnali che potessero lasciare presagire che quei condizionamenti culturali o personali si sarebbero spinti sino al gesto estremo».

La Corte d'Assise del Tribunale di Reggio Emilia parla di un «nucleo familiare legato a determinate tradizioni ma che non aveva mai reagito in modo intransigente o violento alle trasgressioni della ragazza, mostrandosi più interessato a metterle a tacere che a sanzionarle». E ancora: «Neppure gli inquirenti si avevano concepito quel contesto familiare in termini talmente allarmanti da fare sin da subito ipotizzare quanto poi è accaduto, non essendovi pregressi episodi di violenza o di altro tipo che deponessero in tal senso».