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Le motivazioni della sentenza

Saman, i giudici ribaltano tutto «Nozze combinate? Non c’entrano»

Jacopo Della Porta
Saman, i giudici ribaltano tutto «Nozze combinate? Non c’entrano»

Nel terzo anniversario del femminicidio, la Corte ha depositato le motivazioni «Temevano scappasse di nuovo: non si può escludere l’abbia uccisa la mamma»

01 maggio 2024
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Novellara Tre anni fa Saman Abbas veniva uccisa nelle campagne di Novellara. Alla mezzanotte in punto tra il 30 aprile e il primo maggio 2021 la diciottenne usciva di casa, accompagnata dai genitori. Verrà ritrovata 566 giorni dopo in una fossa scavata in un vicino casolare diroccato.

Alla vigilia di questo triste anniversario, la Corte d’Assise di Reggio Emilia ha depositato le motivazioni della sentenza di primo grado che il 19 dicembre scorso ha condannato i genitori della ragazza all’ergastolo, lo zio a 14 anni e ha assolto due cugini.

Si tratta di seicento pagine nelle quali la presidente Cristina Beretti e la giudice estensora Michela Caputo forniscono una ricostruzione dei fatti spesso antitetica rispetto a quelle degli investigatori, del pm Laura Galli, del procuratore capo Calogero Gaetano Paci e dei media.

Critiche a procura e media

Il documento si apre con una citazione tratta da “Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria del 1773: “Un uomo non può chiamarsi reo prima della sentenza del giudice, né la società può togliergli la pubblica protezione, se non quando sia deciso ch’egli abbia violato i patti, co’ quali gli fu accordata. Nelle pagine si trovano frequenti censure al clamore mediatico e alle «strumentalizzazioni di stampo prettamente culturale, politico e religioso».

La narrazione sedimentata nell’opinione pubblica viene ribaltata rispetto a un punto centrale. «Se vi è un dato che l’istruttoria e la dialettica processuale - le uniche deputate a farlo - hanno consentito di chiarire è che Saman Abbas non è stata uccisa per essersi opposta ad un matrimonio combinato/forzato».

Allora perché? La Corte individua il momento cruciale nella notte del 30 aprile del 2021, poche ore prima della morte. «La sciagurata ed estrema soluzione è stata adottata perché ci si trovava di fronte al pericolo di una nuova fuga della ragazza, ossia il rischio da loro più temuto, in quanto maggiormente disapprovato».

Una motivazione che dunque non smentisce la motivazione culturale del delitto e il suo essere legato a un concetto d’onore fortemente radicato nella famiglia e nel paese di provenienza, il Pakistan.

La situazione a casa Abbas sarebbe precipitata rapidamente quando i genitori appresero che la figlia non aveva interrotto la relazione con il fidanzato Ayub Saqib e che era pronta ad andarsene nuovamente di casa. Circostanze apprese dal fratello di Saman, Ali Haider, che aveva registrato le conversioni social della diciottenne.

«Non ci fu premeditazione»

Prima del deposito delle motivazioni, ci si chiedeva come fosse stato possibile escludere l’aggravante della premeditazione. I giudici dedicano molte pagine a questo aspetto e criticano il modo in cui sono state condotte le indagini e come è stata impostata l’istruttoria dibattimentale.

Il video del 29 aprile, che mostra lo zio e i cugini andare nei campi con le pale, le dichiarazioni di Alì Haider (definite inattendibili ), quelle di due detenuti del carcere della Pulce (che non dovevano nemmeno essere portate in aula) e l’allontanamento dell’intero nucleo familiare da Novellara dopo il delitto, sono tutti elementi, a parere della Corte, che possono essere interpretati in modi alternativi rispetto a quelli proposti dall’accusa.

Caduta l’aggravante della premeditazione, non è rimasto più nulla nei confronti dei cugini Ikram Ijaz e Nomanulhaq Nomanulhaq, che pertanto sono stati assolti. Tra l’altro, la buca nel casolare di Strada Reatino, dove vene ritrovato il corpo, potrebbe essere stata scavata da una sola persona nell’arco di circa tre ore: pertanto, questo lasso di tempo è compatibile con quello durante il quale lo zio non ha usato il suo cellulare nella notte del primo maggio.

I giudici hanno condannato i genitori e lo zio seguendo un ragionamento che non coincide con quello della procura. Un punto di parziale contatto si riscontra dove si sottolineano i numerosissimi contatti telefonici che intervengono nella notte del 30 aprile 2021 tra l’utenza in uso a Shabbar e quella del fratello Danish tra le 21.45 e le 23.57. «Una sequenza incalzante e compulsiva di chiamate tra i due imputati», che non ha precedenti. Una serie «così prolungata da essere incompatibile con la tesi della premeditazione», che invece l’accusa ravvede: «È evidente che tali telefonate non avrebbero avuto ragione d’essere qualora fosse stato tutto lungamente e dettagliatamente organizzato». Per i giudici queste telefonate rafforzano la convinzione che il padre «abbia contatto il fratello per confrontarsi con lui sul da farsi». I genitori, il giorno successivo, avevano in programma di partire per il Pakistan – per altre ragioni non attinenti al delitto - e pertanto non c’era tempo da perdere.

I giudici non sciolgono il dubbio su chi sia stato l’autore materiale del delitto. Non ci sono elementi certi per sostenere che sia stato lo zio Danish, perché, come ha sottolineato il suo avvocato Liborio Cataliotti, potrebbe essere stata anche la mamma. La perizia di Cristina Cattaneo non esclude che ad agire sia stata una donna e che un minuto possa bastare per strangolare una persona, cioè il tempo in cui Nazia scompare dalla vista delle telecamere dell’azienda agricola. «La Corte ritiene che, pur persistendo alcune incertezze su chi abbia materialmente ucciso Saman Abbas, ciò nondimeno sussiste una trama densa e serrata di plurimi e convergenti indizi che consente di inferire che Shabbar Abbas, Nazia Shaheen e Danish Hasnain sono parimenti e pienamente coinvolti nell’omicidio e compartecipi della sua realizzazione». Dei genitori si dice: «Si può affermare con sconfortante certezza che i genitori abbiano letteralmente accompagnato la figlia a morire».

«Padre padrone? Forse no»

Il nucleo familiare di Saman viene descritto come «certamente chiuso in se stesso, legato a retaggi e tradizioni propri del Paese d’origine e del tutto impermeabile alla realtà esterna».

La Corte respinge però le cronache «tutte dirette a dipingere l’ambiente familiare come fortemente maltrattante e dispotico, con violenze fisiche e morali reiterate e sistematiche, delle quali non v’è traccia nel pregresso vissuto dalla famiglia».

Le condotte di Shabbar Abbas dopo la fuga in Belgio della figlia, nel giugno 2020, «restituiscono l’idea di un nucleo familiare legato a determinate tradizioni – come quella di combinare le nozze della figlia – ma che, al tempo stesso, non aveva però mai reagito in modo intransigente o violento alle trasgressioni della ragazza, mostrandosi più interessato a metterle a tacere che a sanzionarle». Un passaggio che ricorda, in parte, l’arringa difensiva dell’avvocato Enrico Della Capanna, codifensore del padre insieme al collega Simone Servillo. l

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