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La sentenza

Il fratello e il fidanzato di Saman «affetti falsi e manipolatori»

Elisa Pederzoli
Il fratello e il fidanzato di Saman «affetti falsi e manipolatori»

Reggio Emilia, le motivazioni della sentenza per l’omicidio: ecco perché Saqib e Alì sono stati esclusi dai risarcimenti. La Corte d’Assise: «Una solitudine che lascia attoniti»

03 maggio 2024
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Reggio Emilia Se c’è una cosa che emerge con prepotenza nelle oltre 600 pagine di sentenza è la solitudine di Saman Abbas. A lungo sviscerata a dibattimento, non viene messa in dubbio dalla Corte d’Assise, che non usa giri di parole parlando di una «solitudine che lascia attoniti», quella vissuta dalla ragazza di Novellara, il cui volto oggi, in seguito al suo tragico destino è, invece, noto a tutti. Definite le responsabilità per l’omicidio, il dito da parte dei giudici è puntato – almeno moralmente – anche sul fratello di Saman e sul fidanzato Saqib, esclusi dai risarcimenti delle parti civili. E ora sappiamo perché: quella di Saman è stata una vita «non solo spezzata ingiustamente e troppo presto, ma vissuta attorniata da affetti falsi e manipolatori».



Il fidanzato

Al fidanzato pakistano, Saqib Ayub, viene imputato di aver «segnato tragicamente il buon esito del progetto che era stato avviato per lei» in comunità a Bologna, «fomentando in lei quei sentimenti di diffidenza e sfiducia nei confronti della struttura e dei suoi operatori».

Ma, soprattutto, è ancora Saqib «che determinerà Saman a fare rientro a casa, per un motivo questo sì futile quale quello del recupero dei documenti, peraltro scaduti, stressandola in modo incessante e, anzi, ammonendola di non andare via di casa fino al loro recupero, anche quando la ragazza, proprio il 30 aprile, gli manifesterà la sua intenzione di scappare». E a casa, Saman, troverà la morte.

Di più. Nelle motivazioni, i giudici sviscerano anche la sua condotta quando Saman scompare: dal 1° maggio sino al 17 giugno 2021, Saqib chatta con un’altra ragazza. «La chat tra lui e la sua nuova conoscenza si compone di quasi cinquemila pagine». E i messaggi, sono messaggi d’amore. Secondo i giudici, quei messaggi, le conversazioni intrattenute con altre, ciò che veniva nascosto a Saman circa i suoi spostamenti «dà plasticamente conto della scarsissima affezione di Saqib nei confronti di quella ragazza che di lui era tanto innamorata da mettere, e da aver messo, a repentaglio tutto».

Il fratello

Ma la Corte d’Assise è dura anche, e soprattutto, nei confronti del fratello di Saman, Alì Haider. Era già nettamente emerso a dibattimento che i giudici togati e popolari ritenessero che il giovane avrebbe dovuto essere indagato con gli altri famigliari per il reato principale: l’omicidio. Dinnanzi alla decisione del tribunale dei minori di archiviare la sua posizione, su richiesta stessa della procura – il giovane all’inizio della vicenda era stato iscritto nel registro degli indagati con i genitori – la Corte d’Assiste nelle motivazioni della sentenza ribadisce la sua convinzione: «Ritiene che plurimi siano gli elementi indizianti il suo coinvolgimento e le sue dirette responsabilità negli eventi che hanno condotto all’uccisione della sorella». Ma che sia stato solo connivente o abbia concorso, ritiene che non sposti il punto: ovvero, che debba essere escluso dal risarcimento. «Alì Haider – si legge – ha mantenuto, per le prime due settimane, un atteggiamento evidentemente mendace e restio ad ogni tipo di collaborazione con gli inquirenti. Ha poi iniziato a rendere dichiarazioni parziali e frammentate sull’accaduto, solo quando è stato prelevato dalle forze dell’ordine a Imperia, in quanto minorenne, le quali gli hanno così imposto l’allontanamento dallo zio Danish, da lui non voluto».

Per i giudici, quando ha iniziato a parlare lo ha fatto «serbando un contegno tutto improntato al tornaconto personale suo e, soprattutto, dei suoi genitori, mai neppure lambiti dalle sue accuse». Una valutazione che non cambia nemmeno se si deve tenere in considerazione il suo atteggiamento a processo, dove ha accettato di testimoniare. «Nulla toglie alla gravità del suo comportamento serbato a suo tempo: è emerso in dibattimento che tutto quanto da lui allora dichiarato, nei confronti dei cugini e specialmente dello zio, non corrisponde al vero, o meglio, non corrispondeva a fatti cui aveva effettivamente assistito». Con una stoccata a chi ha condotto le indagini: «Si tratta di circostanze che - sebbene non valutate, ma anzi assecondate dagli inquirenti - hanno gravemente segnato il corso delle indagini e che dimostrano, ancora una volta, che le sue dichiarazioni sono sempre state mosse dallo scopo egoistico di salvare sé e i suoi genitori da ogni coinvolgimento». Cosa che sarebbe andata avanti sino alla fine del processo, in cui compromessa ormai la posizione del padre «ha tentato di proteggere ancora la madre, descrivendola come “vittima-succube”, ma soprattutto si è impegnato nella tenace difesa di se stesso, considerata la posizione assunta dalla Corte nei suoi riguardi». Corte che equipara, alla fine, il giovane Alì – oggi maggiorenne, ancora in comunità avendo accettato di seguire il percorso a lui offerto dall’Unione della Bassa – al fidanzato Saqib, rispetto ai suoi sentimenti nei confronti di Saman: «Si sono professati, solo dopo la sua uccisione, a lei vicini».