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Ahmad Ejaz: «Saman, il no alle nozze forzate c’entra con l’omicidio»

Jacopo Della Porta
Ahmad Ejaz: «Saman, il no alle nozze forzate c’entra con l’omicidio»

Per la Corte d’Assise non è il movente, il mediatore interculturale dissente

04 maggio 2024
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Novellara Le motivazioni della sentenza Saman Abbas hanno provocato reazioni ampie e di segno opposto. Ne abbiamo parlato con Ahmad Ejaz, giornalista italo-pakistano (originario come gli Abbas del Punjab) e mediatore interculturale.

Ejaz, nelle motivazioni si legge: “Se vi è un dato che l’istruttoria e la dialettica processuale hanno consentito di chiarire è che Saman non è stata uccisa per essersi opposta ad un matrimonio combinato/forzato”. Cosa ne pensa?

«Per l’Italia, trattare casi di matrimoni combinati o forzati risulta difficile a causa della mancanza di conoscenza delle culture non europee. La cultura del subcontinente indiano, per esempio, è radicalmente diversa da quella europea, e ignorare questo fatto sarebbe un errore. Come mediatore interculturale, che ha lavorato in diversi contesti, ho notato che i media e i tribunali spesso trascurano di consultare esperti per comprendere appieno le complessità culturali indo-pakistane».
 

Per la Corte non si può parlare di matrimonio forzato, ma combinato.

«Non sono d’accordo. Saman ha detto chiaramente che non voleva sposare il cugino. È importante ricordare che il caso di Saman non è isolato, ma il sesto in una serie di episodi simili avvenuti in Italia»

Nelle pagine si trovano frequenti censure al “clamore mediatico” e alle “strumentalizzazioni di stampo prettamente culturale, politico e religioso”.

«Forse qualche politico può aver strumentalizzato, soprattutto all’inizio. Ma questa volta non mi pare che il caso sia stato particolarmente strumentalizzato, come avvenuto invece in altri frangenti in cui erano coinvolte persone musulmane. In questa vicenda la stampa ha giocato un ruolo importante per fare luce su alcune dinamiche culturali...».

Ad esempio sui matrimonii combinati e forzati...

«Esatto. Ma pensiamo anche all’estradizione del padre Shabbar. Due governi si sono impegnati per ottenerla e non è stato un risultato di poco conto. In altri casi simili, come quello di Sana Cheema, che viveva a Brescia, non ci fu lo stesso impegno per l’estradizione dei responsabili.

E qui, la pressione mediatica un peso ce l’ha avuto.

«Esatto».

Il nucleo familiare di Saman viene descritto come «certamente chiuso», però la Corte ritiene eccessivo descriverlo “come fortemente maltrattante e dispotico”.

«Più che una famiglia violenta, vedo una classifica famiglia che viene dal villaggio, dove la tradizione è più forte delle emozioni. Dove tutti sono schiavi della tradizione, al punto da arrivare ad uccidere una figlia. Un delitto d’onore motivato dal fatto che l’individuo appartiene a un gruppo e ad esso risponde». l

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