Gazzetta di Reggio

Reggio

Novellara

Nazia, quel passo risoluto nella notte mentre accompagna Saman a morire

Jacopo Della Porta

	Le ultiime immagini di Saman in vita: accanto a lei c'è la madre
Le ultiime immagini di Saman in vita: accanto a lei c'è la madre

Arrestata dopo 3 anni di latitanza in Pakistan la madre della 18enne: c’era lei accanto alla giovane nelle ultime immagini in cui è in vita

01 giugno 2024
4 MINUTI DI LETTURA





Novellara Nella notte in cui accompagnava Saman a morire, nelle campagne di Novellara, Nazia Shaheen – finalmente catturata in Pakistan dopo oltre tre anni di latitanza – procedeva «con passo molto più risoluto, al fianco della figlia, come a volersi rassicurare che procedesse nella direzione giusta». Il marito, invece, «appariva più disorientato». Così la Corte d’Assise di Reggio Emilia, nelle motivazioni della sentenza con cui ha condannato la 51enne e il marito Shabbar Abbas all’ergastolo, descrive la sequenza che milioni di italiani hanno visto e rivisto. Quella in cui la 18enne usciva di casa, nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio 2021, per poi scomparire rapidamente nell’oscurità. Dall’altra parte, ad attenderla, c’era lo zio Danish Hasnain, che la Corte ha condannato a 14 anni.

Quel filmato di pochi secondi, realizzato dal sistema di videosorveglianza dell’azienda agricola “Le Valli”, è uno dei pochi documenti che attestano il passaggio di Nazia nel nostro Paese, oltre che gli ultimi istanti di vita dell’Italian Girl, come si definiva lei stessa sui social, condannata a morte perché voleva essere libera. A Novellara, dove era arrivata nel dicembre 2016 con la figlia e il figlio Alì Haider, per ricongiungersi al marito Shabbar Abbas, la donna ha vissuto come un fantasma. Dopo essere tornata in Pakistan, il primo maggio 2021, poche ore dopo l’assassinio della 18enne, di lei si erano perse le tracce. Nell’ultimo frame disponibile appariva sorridente ai controlli del gate dell’aeroporto di Malpensa.

Il silenzio intorno alla sua sorte è durato fino a venerdì mattina, quando si è appreso che la 51enne era stata catturata in un villaggio del Punjab pakistano, al confine con il Kashmir. I riflettori si sono così riaccesi su quella che è sempre parsa come la figura più enigmatica di questa tragedia. Il suo grado di integrazione nella società italiana, negli anni in cui ha vissuto nelle nostre campagne, è stato pari a zero. Nazia non ha imparato una parola d’italiano, non frequentava nemmeno le connazionali e usciva dal casolare di via Cristoforo Colombo soltanto quando gli altri operai erano già andati via, fino a quando il marito non aveva trovato il modo di ridurre anche quelle uscite mettendole a disposizione un tapis-roulant. Le indagini e il processo hanno restituito un duplice volto della donna: quello di vittima e carnefice. Vittima di una cultura maschilista, che la voleva reclusa in casa, ma anche carnefice della figlia, al punto da dimostrarsi molto più determinata del marito nel mettere in atto il loro piano. Custode, dunque, del distorto concetto d’onore del clan familiare.

Nei mesi in cui Saman era lontana da casa, ospite di una comunità di Bologna dopo aver denunciato il tentativo di matrimonio forzato con un cugino più grande, la madre tentava di impietosirla al telefono con l’obiettivo di farla tornare a casa. Sempre lei, dopo il delitto, ha mostrato molta più lucidità del marito, ormai in preda alla rabbia e all’alcol, nel tentativo di tenere in piedi i brandelli di una famiglia allo sbando. Nelle telefonate intercettate è stata ascoltata più volte mentre tentava di convincere il figlio a non collaborare.

La cattura di Nazia Shaheen era tutt’altro che scontata. Già l’estradizione del marito è stata considerata un risultato senza precedenti, data l’assenza di un trattato bilaterale tra Italia e Pakistan. Su di lei c’era un mandato di cattura internazionale e l’Interpol aveva emesso una richiesta di cooperazione alla polizia pakistana, la cosiddetta “Red Notice”. Va dato atto al governo di Islamabad di non aver ignorato le richieste della diplomazia italiana, così come al procuratore di Reggio Emilia, Calogero Gaetano Paci, e ai carabinieri del comando provinciale di non aver mai mollato la presa. Ieri mattina la donna è comparsa in tribunale nella capitale del Paese asiatico e l’arresto è stato convalidato. Il 12 giugno tornerà in aula per l’avvio dell’iter di estradizione. La procedura per il marito Shabbar è durata più di nove mesi. Per la moglie, che nel processo a Reggio è stata difesa dall’avvocato Simone Servillo, potrebbe essere molto più rapida, posto che la decisione finale sarà sempre di natura politica. Prima di essere condotta in carcere, la donna è stata visitata in ospedale. La prima immagine diffusa in Pakistan, dopo tre anni di oscurità, mostra Nazia di spalle, con al suo fianco un uomo con la pettorina della polizia italiana e un appartenente alla squadra antiterrorismo pakistana .l © RIPRODUZIONE RISERVATA