Gazzetta di Reggio

Reggio

Correggio

Omicidio di Aldo Silingardi, riaperto il caso dopo 12 anni. Indagati i fratelli e il nipote

Ambra Prati
Omicidio di Aldo Silingardi, riaperto il caso dopo 12 anni. Indagati i fratelli e il nipote

Il delitto avvenne nelle campagne correggesi il 9 luglio 2012, l’uomo fu trovato con il cranio fracassato

07 giugno 2024
3 MINUTI DI LETTURA





Correggio Pareva un caso irrisolto, destinato a rimanere chiuso in uno scaffale. Invece, a distanza di dodici anni, si registra una svolta clamorosa nel “cold case” del delitto di Lemizzone costato la vita ad Aldo Silingardi, detto “Abbo”.

Il fascicolo è stato riaperto qualche mese fa dalla Procura di Reggio Emilia, e tre persone (due fratelli e un nipote) sono state iscritte nel registro delle indagati. Il reato – al momento solo ipotizzato, nessun avviso di chiusura indagini – è di quelli pesanti come un macigno: omicidio volontario aggravato (dal vincolo di sangue). La pena sulla carta è quella dell’ergastolo. È quanto rischiano Leo Silingardi, 80 anni, Mario Silingardi, 82 anni, e il figlio di quest’ultimo (il nipote prediletto della vittima) Nicola Silingardi, 46 anni.

Il delitto risale al 2012. Sono le 17 del 9 luglio quando il 78enne Aldo viene ammazzato nella sua casa di via Lemizzone 39/a, nelle campagne correggesi. L’anziano viene trovato – due ore dopo il delitto, come chiarirà l’autopsia – nella cucina con il cranio fracassato. Chi ha infierito su di lui ha letteralmente fatto a pezzi i mobili, usando una gamba del tavolo e la gamba di una sedia: armi improvvisate, utilizzate con una violenza cieca. Aldo, che usa una stampella, viene descritto come un uomo robusto, un ex agricoltore ed ex muratore che abitava da solo nel casolare. Dalla devastazione trovata dagli inquirenti intorno al cadavere, subito si ipotizza un delitto d’impeto e una lotta che ha visto la vittima difendersi con forza.

Sul caso, rivelatosi piuttosto complesso, si sono alternate rilevazioni scientifiche dei carabinieri del Ris di Parma e stringenti interrogatori di tutte le persone che facevano parte della cerchia di Aldo. Due le tracce individuate dagli esperti del Ris: un’impronta palmare su una delle due armi del delitto (cioè una gamba del tavolo, sradicata e usata come mazza) e l’impronta di una scarpa rinvenuta sul pavimento. Potenziali prove principe, che però, comparate con i sospettati (fra cui anche il figlio naturale della vittima) non hanno portato da nessuna parte. Un aspetto ha instradato verso l’ambito personale: la porta era intatta, Aldo ha aperto al suo assassino. Lo conosceva? La famiglia (i Silingardi sono in cinque tra fratelli e sorelle) si è sempre detta unita e convinta che ad ammazzare il 78enne sia stato uno sconosciuto, forse entrato per rapinare o derubare l’anziano. In tutti questi anni non si è riusciti a dare un nome all’assassino. Finché, nell’agosto 2020, le indagini del pm Maria Rita Pantani hanno avuto un nuovo impulso grazie a un episodio all’apparenza bagatellare: una lite tra i fratelli del morto, Leo, colpito alla testa con un rastrello da Mario. Sono così ripresi a tambur battente gli interrogatori dei famigliari, e dall’incrocio delle dichiarazioni sono emerse varie discrepanze. Alla luce di quanto dichiarato, qualche mese fa il cerchio si è chiuso intorno ai tre indagati, che hanno nominato ciascuno un avvocato. Non solo i fratelli si accusano a vicenda, affermando di aver paura l’uno dell’altro; altri elementi fanno ipotizzare il coinvolgimento di Nicola, che all’epoca era stato torchiato per dodici ore in caserma. A fine maggio, all’ultimo invito a presentarsi per essere interrogato, Mario si è avvalso della facoltà di non rispondere: a suo dire, non sa nulla del delitto. Il braccio di ferro, anche psicologico, continua. l