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“Saman, indagate pure i cugini”: il ricorso in Appello della Procura

Elisa Pederzoli
“Saman, indagate pure i cugini”: il ricorso in Appello della Procura

Ribadita la premeditazione e il valore di prova del video dei tre uomini con le pale

15 giugno 2024
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Novellara Concorso in omicidio aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi e concorso nella soppressione del cadavere per tutti e cinque gli imputati.

La Procura di Reggio Emilia – a firma del sostituto procuratore Maria Rita Pantani e del procuratore capo Calogero Gaetano Paci – ha depositato il ricorso in Appello contro la sentenza di primo grado per l’omicidio di Saman Abbas, la 18enne di origine pakistana uccisa a Novellara il 1° maggio del 2021, per il quale sono stati condannati all’ergastolo i genitori, a 14 anni lo zio e assolti i due cugini.

Non cala il sipario sul caso che da tre anni tiene col fiato sospeso l’opinione pubblica, capace di sollevare un’attenzione mediatica senza precedenti. La Procura in 120 pagine di ricorso cerca di smontare l’assoluzione dei due cugini e l’esclusione della premeditazione e dell’aggravante dei futili motivi.

La ricostruzione

Ribadisce la ricostruzione del delitto: i cugini Ikram Ijaz, Nomanulhaq Nomanulhaq e lo zio Danish Hasnain hanno «materialmente effettuato il preliminare scavo della fossa il 29 aprile 2021». Il 30 aprile hanno atteso che Shabbar Abbas e Nazia Shaheen «consegnassero loro l’ignara Saman». E «una volta strangolata/soffocata, mettendo in atto il piano concordato» con i genitori della ragazza, l’hanno portata al casolare e sepolta. E lo fa analizzando le immagini della video sorveglianza, annotando dettagli su dettagli a conferma. E chiede che vengano risentiti tre testi: Ivan Bartoli, datore di lavoro degli Abbas, Taswinder Sing del negozio indiano di Novellara, il maggiore dei carabinieri Maurizio Pallante. Inoltre impugna l’ordinanza della Corte del 10 novembre 2023, con cui ha dichiarato inutilizzabili gli interrogatori dello zio Dani e l’ordinanza che riguarda Alì Haider, fratello di Saman. Che, secondo la Corte, avrebbe dovuto essere sentito non in veste di teste, ma da persona indagabile.

I cugini

Aspetti procedurali, è vero, ma dirimenti. Le dichiarazioni dello zio Danish, che fecero ritrovare il cadavere, contenevano particolari non di poco conto: come che dopo il seppellimento di Saman, in casa i cugini avrebbero bruciato nella stufa di documenti della ragazza. Dunque, collocando i due sul posto la sera del delitto. La Procura ribadisce il ruolo di «prova regina del delitto» del video del 29 aprile 2021, in cui si vedono zio e cugini uscire con pale e attrezzi. La Corte nella sentenza ha preso per buone le spiegazioni degli imputati: andavano a chiudere le serre, ad annaffiare i peperoncini, a mangiare le fragole. Per l’accusa invece vanno a scavare la fossa in cui verrà sepolta Saman. Prova non solo del coinvolgimento dei cugini assolti, ma anche della premeditazione. Nel ricorso di parla espressamente di «depistaggi» da parte degli imputati che sapevano bene di essere ripresi. Tra le altre cose, ribadisce che il meteo quel giorno non fu tale da giustificare una uscita per chiudere le serre.

Il fratello

Riguardo al fratello, ritenuto non attendibile dalla Corte, la procura punta il dito contro le difese e la stessa Corte parlando di «vittimizzazione secondaria» nei suoi confronti. Il comportamento di Haider nella tragica fine della sorella sarebbe per la procura da imputare al «clima di dipendenza e sudditanza psicologica verso le figure adulte di riferimento». Ricorda come fosse al pari della madre e della sorella, vittima di maltrattamenti, parla di «assoggettamento e terrore». Per la procura non è un «correo», ma un testimone «particolarmente vulnerabile». Una condizione che avrebbe dovuto richiedere, per la procura, modalità di audizione diverse, più tutelanti. Invece di parla di un esame «a dir poco pressante» da parte delle difese. E giustifica i numerosi «non ricordo» come incapacità e difficoltà ad esprimersi. Sarebbero stati pronunciati allo scopo di far finire «le insistenti e a tratti intimorenti domande dalle difese e dalla stessa presidente della Corte».

La Procura stigmatizza anche il movente individuato dalla sentenza: la fuga in Belgio ed il nuovo tentativo di fuga la notte del delitto. Per l’accusa è stato invece messo in atto un progetto omicidiario che coinvolge il gruppo famigliare.

Futili motivi

Ma è sull’esclusione dell’aggravante dei futili motivi che la Procura si fa più sentire. Ribadisce come da tempo «neppure l’appartenenza ad un’etnia caratterizzata da peculiari stili di vita e da una particolare concezione dell’onore familiare possa attenuare il disvalore del motivo ispiratore della condotta delittuosa che, quindi, non esclude la futilità delle ragioni del reato di omicidio. Nessun “onore familiare” può e deve giustificare l’esclusione dei futili motivi». E attacca: «Se, al contrario, si accedesse all’orientamento propugnato dalla Corte – che fa riferimento a concetti culturali diversi e non accettati, né accettabili, nei nostri schemi sociali – si giungerebbe a vanificare il lento processo evolutivo che il nostro ordinamento ha intrapreso, già dal 1981, con l’abrogazione del delitto di onore». «Se pacificamente ed altamente riprovevole, in questo preciso momento storico, è, dunque uccidere la propria compagna per “gelosia”, in quanto espressione di “un abnorme stimolo possessivo che ritiene ingiustificati i comportamenti della vittima percepiti dall'agente come atti di insubordinazione”, a maggior ragione nessun dubbio può residuare sul fatto che altrettanto riprovevole sia sopprimere la propria figlia solo perché vuole vivere la propria vita da ragazza, studiando e scegliendo chi frequentare».