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L’intervista

Fatture false per 600 milioni: «A Reggio Emilia stanno triplicando»

Ambra Prati
Fatture false per 600 milioni: «A Reggio Emilia stanno triplicando»

Il comandante provinciale della Guardia di Finanza Ivan Filippo Bixio «Il trend è in crescita, sia nell’ambiente criminale sia tra imprenditori»

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Reggio Emilia «L’anno scorso l’ammontare delle fatture false scoperte si aggirava intorno ai 200 milioni di euro. Tuttavia nel periodo dall’1 gennaio 2023 al 31 maggio 2024 ci sono attività in corso (non ancora note) che “cubano” per un totale di 600 milioni, con prospettive di ulteriore crescita. Stiamo triplicando». Così il comandante provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Emilia, colonnello Ivan Filippo Bixio, svela quello che si sta rivelando il fronte più “caldo” delle indagini economiche nella nostra città. Anche in esecuzione alle direttive del procuratore capo Calogero Gaetano Paci, secondo il quale occorre insistere su questo filone poiché «le fatture false sono il nuovo volto della ’ndrangheta al Nord».

Colonnello Bixio l’illegalità si manifesta sempre più nella falsa fatturazione?

«Non c’è dubbio. I numeri sono la cartina di tornasole di quello che il procuratore ha evidenziato: lo dicono tutti i rilevatori. Anche l’ultima inchiesta in ordine di tempo su questa tematica, l’operazione “Titano”, è stata un ulteriore tassello che conferma la caratteristica della nostra provincia, specializzata nel fornire questo tipo di servizi illeciti. Sono reggiani o hanno base qui coloro che, tramite cartiere sparse in tutta Italia, rispuntano in altre indagini un po’ in tutto il Nord. È una caratteristica saliente».

La falsa fatturazione è pervasiva. Come si scopre?

«Il fenomeno in sé può essere spia di tante cose. La falsa fatturazione è lo strumento principe della criminalità, ma si può prestare ad altri scopi: ha un’utilità multipla, come ad esempio spostare i capitali all’estero o riciclare denaro con la pezza giustificativa del documento fittizio. Noi ci siamo imbattuti nelle fatture false sia in attività classiche (verifiche fiscali nei confronti di soggetti con un alto indice di rischio), sia nel settore della criminalità organizzata che sfrutta le fatture per diversificare le loro attività; gli ambienti ‘ndranghetisti o contigui alla ‘ndrangheta usano le fatture false sia in proprio sia come servizio per terzi guadagnandoci, a seconda del prezzario, dal 10 al 20%. Quindi c’è il tema dell’evasione sotto forma di frode, che riguarda anche persone che non hanno nulla a che fare con la criminalità ma devono aggiustare i bilanci o guadagnare evadendo le tasse: le operazioni “Consequence” e “Perseverance” dello scorso anno ricalcano questo schema. Questa convergenza di interessi, tra chi offre la fattura falsa e gli imprenditori che ne usufruiscono, è conveniente per tutti».

Quali sono le conseguenze sull’economia?

«Si pensi alle mancate imposte che vengono meno per lo Stato. Se i 600 milioni riguardano le indagini in corso sul valore delle false fatturazioni, la base imponibile sottratta a tassazione comprensiva di tutte le varie attività e delle indagini già consolidate nel periodo è pari a 520 milioni di euro». Cifra con la quale si potrebbero fare tante cose, dalla scuola alla sanità. «Difatti. Non solo: siccome parte di questi soldi della finta fatturazione tornano indietro in contanti, l’illecito assicura una forma di “riserva” di denaro nero che può servire per mille finalità: comprese le tangenti negli appalti pubblici».

Su questo fronte (vedi l’ultimo scandalo tangenti sull’Aipo) state indagando?

«Stiamo monitorando delle situazioni, non mi posso sbilanciare. Le tangenti ci sono sempre state; oggi è più difficile rispetto a un tempo, per i paletti contenuti nei bandi pubblici e per il monitoraggio costante. Contro la corruzione è fondamentale la prevenzione e una cultura della legalità non ancora pienamente sviluppata. Perciò andiamo nelle scuole: le giovani generazioni, che hanno sviluppato la coscienza ambientalista, devono sviluppare appieno la consapevolezza che le tasse sottratte danneggiano non tanto lo Stato bensì la collettività, alterando la concorrenza ai danni delle imprese corrette».

Altri trend dell’ultimo anno e mezzo?

«Pure l’evasione fiscale (quella scoperta è stata pari a 90 milioni di euro, ma è la punta dell’iceberg) è in crescita. Non a caso abbiamo registrato 430 denunce per reati tributari».

Abbiamo parlato di operazioni: a livello nazionale si tenta si mettere in discussione il trojan, il “cavallo di Troia” informatico che consente agli inquirenti di acquisire tutti i dati, le mail e i messaggi dell’indagato. Lei cosa ne pensa?

«In realtà il trojan ha usi ristretti. È chiaro che per noi è molto utile. Nell’operazione “Minefield” su ambienti di criminalità organizzata (con soggetti accorti) abbiamo registrato riunioni e decisioni raccogliendo elementi importanti. Oggi come oggi è sempre più complicato fare breccia in ambienti chiusi, anche perché ci sono tante modalità di comunicazione alternativa: più possiamo usare strumenti del genere e meglio è». l © RIPRODUZIONE RISERVATA