Morto nel pozzo a Toano, l’accusa attacca: «Anche la moglie è colpevole»
Il pm chiama 54 testimoni, la difesa: «È una vittima di figlia e genero»
Toano Sono 54 i testimoni citati dall’accusa, otto (sei coincidono con quelli della Procura) per la difesa.
Queste le carte in tavola nel processo apertosi ieri in Corte d’Assise per la morte di Giuseppe Pedrazzini, 77 anni, scomparso da mesi (l’allarme venne lanciato da altri familiari, che venivano tenuti a distanza) e ritrovato senza vita nel pozzo di casa a Cerrè Marabino, frazione di Toano, l’11 maggio 2022. A giudizio davanti alla giuria popolare è rimasta la moglie Marta Ghilardini, 63 anni: deve rispondere di maltrattamenti in famiglia, sequestro di persona, soppressione di cadavere, omissione di soccorso nonché di truffa ai danni dello Stato (per la pensione che avrebbe continuato a riscuotere).
Per gli stessi reati in concorso la figlia Silvia Pedrazzini, 37 anni, e il marito Riccardo Guida, 42 anni, sono stati condannati il 28 settembre 2023 a 12 anni e 4 mesi di reclusione (il pm aveva chiesto 27 anni). Liberati e ora detenuti, sono in attesa dell’Appello. La moglie Marta – dapprima complice, si è poi recata dai carabinieri per confessare affermando che il marito è deceduto per cause naturale fra le sue braccia e che l’idea di far sparire il corpo non è stata sua – ha scelto di affrontare il processo ordinario.
«Dimostreremo – ha esordito il pm Piera Giannusa – la piena compartecipazione dell’imputata. In questa vicenda non c’è una “mente” e un esecutore materiale: tutti e tre erano d’accordo».
Il pm ha chiesto la trascrizione delle intercettazioni, telefoniche e ambientali, decisive nel far svoltare l’indagine. In particolare l’accusa punterà sulle conversazioni che moglie, figlia e genero hanno fatto nella saletta d’attesa in caserma: prima che fosse rinvenuto il cadavere (i carabinieri sospettavano perché il cane si era fermato accanto al pozzo artesiano) il trio, convocato all’apparenza per informazioni, si sarebbe tradito facendo commenti su quel luogo.
Di parere opposto l’avvocato difensore Rita Gilioli. «Intendo dimostrare l’innocenza di Marta, che è stata vittima di figlia e genero e che ha delle fragilità psicologiche».
La legale (che ha ricordato come il corpo non presentasse segni di violenza) punterà su due consulenze di parte: la perizia psicologica e psichiatrica, che secondo la difesa attesterebbe il condizionamento dell’imputata – che sarà esaminata in aula –; e quella medica sull’autopsia, a contrastare la tesi accusatoria che i maltrattamenti abbiano provocato il decesso. Anche ieri, poi, è proseguita la battaglia sui beni. L’avvocato Naima Marconi, che tutela la parte civile (il fratello Claudio Pedrazzini, a nome di tutti i parenti) ha chiesto il sequestro conservativo dei beni immobili di Marta: un punto focale, visto che nel processo per figlia e genero i due secondo l’accusa avrebbero indotto gli anziani coniugi «a indebitarsi per soddisfare le loro necessità di vita». Oltre alla lista di una trentina di persone – tra questi il nipote di Pedrazzini, oggi 13enne – l’avvocato Marconi ha depositato certificazione medica attestante «lo stato di prostrazione del mio assistito e il disturbo post traumatico quando ha appreso di aver perso così suo fratello».
Dopo la nomina del perito trascrittore (Vincenzo Ottaviano di Carpi) la corte ha rinviato al 6 dicembre: si inizierà con i familiari testi dell’accusa e con un pm sostituto, vista la maternità del pm Giannusa.