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«A Casalino di Ligonchio teniamo vivo il legame tra asini ed Appennino»

Alice Benatti
«A Casalino di Ligonchio teniamo vivo il legame tra asini ed Appennino»

Reggio Emilia: l’Ostello dei Balocchi attira persone da tutto il nord Italia tra campi estivi per bambini e scambi in ambito Erasmus +

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Castelnovo Monti C’era un tempo, in Appennino, in cui l’asino era parte della famiglia. Resistente e fedele, sopportava le fatiche dei lavori nei campi. Poi la progressiva meccanizzazione dell’agricoltura ha portato a trascurarlo, se non dimenticarlo, perché non era più utile. Ma è davvero così?

A Casalino di Ligonchio, nel Comune di Ventasso, c’è un luogo a mille metri di altitudine dove questo animale è protagonista di una nuova e originale formula turistica di scoperta della natura e del paesaggio.

Si chiama Ostello dei Balocchi ed è nato nel 2008 come circolo di Legambiente dall’idea di cinque ragazzi. Uno di loro, Stefano Regio, ci ha raccontato la nascita di questa realtà all’interno del Parco Nazionale dell’Appennino tosco-emiliano e in che modo oggi riesca a richiamare persone da tutto il nord Italia e dal mondo.

Perché un Ostello dei Balocchi? E in questo luogo...

«Siamo in una ex scuola del Comune, ristrutturata per avviare un’attività di ostello per la gioventù che, però, nessuno prendeva in gestione. Nel 2008 lo abbiamo fatto noi e, finito il primo ciclo di gestione, lo abbiamo riavuto per altri dieci anni. Tanti di noi non sono nati qua ed è incredibile pensare che questa realtà sperduta sul crinale sia stata capace di attirare l’interesse di così tante persone che vivono in città. Due persone sono anche venute a vivere qua in montagna. Ma tornando agli inizi, ben presto ci siamo accorti che in Appennino mancavano proposte di educazione ambientale per bambini e famiglie. Ci siamo accorti che in Appennino mancano proposte di questo tipo, è ancora così. Non volevamo nemmeno danneggiare altri facendo una proposta di ristorazione o di albergo tradizionale. Abbiamo iniziato proponendo una nuova e originale formula turistica: il turismo “someggiato”, ovvero con l’ausilio degli asini, che sono da sempre una mia grande passione, abbinato all’educazione ambientale».

Come mai proprio gli asini?

«Gli asini sono fortemente radicati in questo territorio, chi ha radici in Appennino sa bene quanto abbiano contribuito allo sviluppo della montagna. Quasi tutte le famiglie ne avevano uno. Rispetto all’utilizzo che si faceva in passato di questo animale, di effettivo bisogno, noi ne facciamo uno più empatico. Avevo già avuto esperienze in questo campo e mi sono accorto che il connubio asino-bambino funziona molto bene, perché sono simili in quanto a curiosità e testardaggine, che sono sintomo di intelligenza».

Asini intelligenti. Eppure, da sempre, il paragone con questo animale non è proprio positivo...

«La cosa carina è che i bambini arrivano pensando questa cosa e tornano dicendo che bisogna cambiare il modo di parlare. L’asino ha una sensibilità incredibile e, a differenza del cavallo, dosa bene le energie: prende la vita con molta calma. Questo significa che, quando facciamo le escursioni, anche i bambini sono obbligati a rallentare e a osservare meglio la natura che li circonda».

A proposito di bambini, come funzionano i vostri campi estivi?

«I nostri campi estivi residenziali sono aperti ai bambini dai 6-7 anni fino ai 13 anni e permettono di sperimentare la convivenza con altri bambini e ragazzi, il contatto con la natura e gli asini, uno stile di vita sostenibile e in armonia con l’ambiente. Li abbiamo pensati secondo una progressione di difficoltà: si parte dai più facili di una settimana e si arriva fino al mitico campo itinerante “Dal Parco al mare” che parte la domenica dal Passo di Pradarena, bellissima località di crinale nel comune di Ventasso, per arrivare dopo una settimana di cammino a Marinella di Sarzana, sul mare. Tra l’altro, partiremo proprio oggi».

Più o meno quanti bambini ospitate durante l’estate? E da dove vengono?

«Circa 200 bambini, in gruppi da 25. Considerando anche l’attività con le scuole durante l’anno, ne incontriamo 300. Arrivano non solo dall’Emilia-Romagna – in particolare Reggio Emilia, Parma, Modena e Bologna –, ma da tutto il nord Italia, dalla Liguria e dalla Toscana. L’80% dei bambini, l’anno dopo ritorna. Specifico anche le attività con gli asini sono accostate a tante altre iniziative».

Quali?

«Attività di ricerca di tracce, escursioni, laboratori artistici – possibili grazie alla collaborazione con laureate all’Accademia di Belle Arti di Bologna –, incentrati sulle tecniche antiche di stampa che non solo permettono di creare oggetti esteticamente belli ma di creare una processualità. Tutti gli anni ospitiamo anche un tecnico del parco nazionale, Luigi Molinari, responsabile del Wolf Appennine Center, per spiegare ai bambini il ritorno del lupo del lupo».

Parliamo della partecipazione dell’Ostello dei Balocchi a progetti di mobilità giovanile all’interno del programma Erasmus+. Come siete arrivati ad ospitare persone da tutta Europa?

«È la nostra attività più recente ed è nata per caso dall’incontro con persone che lavoravano all’interno dell’Erasmus+: un programma vastissimo di proposte che vanno al di là del classico anno di scuola all’estero. Tra queste, scambi giovanili totalmente finanziati dalla comunità europea che ci vedono ospitare, per periodi di 10-12 giorni, una quarantina di giovani che provengono da diverse nazioni allo scopo di stimolare il confronto interculturale. Trattandosi di uno scambio, il gruppo italiano è invece coinvolto da noi e si tratta di ragazzi con minoni opportunità. Nel nostro caso – ovvero vivere in Appennino –, la minore opportunità è di tipo geografico».

Da che Paesi provengono i ragazzi che avete ospitato a Ventasso?

«Lituania, Ungheria, Romania, Finlandia, Spagna, Germania, Portogallo e Francia. Quest’anno abbiamo già fatto due scambi, uno ad aprile e uno a maggio».

Che cos’hanno apprezzato questi ragazzi?

«Vengono da realtà urbane – e tanti hanno difficoltà ad allontanarsi dalla città con i mezzi –, così, quando arrivano qui, restano colpiti da un ambiente così diverso. Al di là dell’ambiente naturale apprezzano moltissimo la facilità di interagire con le persone. Loro non parlano italiano – e gli anziani del posto che conoscono quando arrivano qui non parlano inglese –, ma a volte è capitato che i ragazzi non tornassero in ostello in orario perché erano stati invitati a mangiare a casa di gente del posto. Questi ragazzi portano una ventata di novità e per i montanari rappresentano un’occasione per aprirsi al mondo».