I funamboli dello slackline in equilibrio sulla Pietra
Camminano su corde a metri d’altezza sospesi nel vuoto. «Dopo l’adrenalina iniziale è soprattutto meditazione»
Sospesi nel vuoto, circondati da panorami mozzafiato, mentre si cerca la concentrazione giusta per rimanere in equilibrio a metri e metri di altezza su una sottile fettuccia.
È lo slackline, una disciplina che trova nell’Appennino reggiano - e in particolare alla Pietra di Bismantova - il suo massimo teatro d’ispirazione. Non è proprio uno sport, innanzitutto si definisce una grande passione, ed è per questo che chi la prova spesso non ne può più fare a meno. Attenzione, poi, a credere che sia l’adrenalina il faro che muove chi pratica questa disciplina. Lo slackline implica un grande senso della meditazione e se è vero che quando si prende il “la” sulla fune si attraversa una forte scarica di energia, dopo pochi metri si entra quasi in una sorta di concentrazione superiore, giura chi si cimenta in questa pratica.
Carlo Sovrini ha 25 anni, è referente dell’associazione Slackline Bologna, che organizza numerose iniziative (anche alla Pietra) e se potesse vivrebbe sempre in sospeso, con l’aria sotto i piedi.
Come si è avvicinato a questa disciplina?
«Ero ancora minorenne e quando ho incontrato lo slackline mi è stato difficile continuare a studiare, per me è stato come scoprire qualcosa che mi ha completamente rapito. Volevo fare soltanto quello. Otto anni fa un amico mi raggiunse e me ne parlò con entusiasmo: ho iniziato ai Giardini Margherita, a Bologna, il punto di aggregazione principale per noi. Provai mettermi in equilibrio su questa fettuccia, inizialmente con poco successo. Trascorsa qualche ora, anche nella prima giornata sono riuscito a portare a casa qualche passo in più. Poi è stato amore a prima vista. Da lì in poi è iniziato un percorso fatto di ore e ore di allenamento prima a terra, poi sono passato a un approccio più mentale e psicologico a grandi altezze».
Quali sensazioni trasmette lo slackline in chi lo pratica?
«Cerco di analizzare molto quello che provo quando sono lì. L’adrenalina è quello che si sente le prime volte, schiacciati da paura, altezza, vertigine. In realtà è così solo alla partenza. Successivamente, diventa qualcosa in profonda connessione con se stessi. Noi la consideriamo quasi una meditazione in movimento tra il silenzio e la sospensione nel vuoto che consente di entrare in stati psicologici molto profondi. Non ha a che fare con l’adrenalina del paracadutismo o di queste attività molto frenetiche».
Che pensieri attraversano la sua mente quando è sulla fune?
«È pazzesco come ti vengano in mente tanti pensieri disparati, a volte non c’entrano nulla fra loro. Le parti più difficili delle camminate sono senza ombra di dubbio quelle finali perché entri in conflitto un po’ con te stesso. Pensi che ormai sei arrivato ma in realtà ancora qualche metro manca. In quegli istanti rischi di commettere degli errori e di cadere. La sfida personale, dato che non c’è competizione, è riuscire a completare tutta la lunghezza senza cadere e senza farsi distrarre dai pensieri che sopraggiungono».
Quali sono gli allenamenti e gli accorgimenti?
«Sicuramente si parte dal parco, o in generale da uno spazio tra due alberi, con la preparazione fisica e psicologica che nasce a pochi centimetri da terra. Successivamente si passa in altezza e la Pietra è stata il luogo dove tutto quanto è nato per quanto riguarda la nostra associazione. Si tratta del luogo ideale, morfologicamente parlando, con la sua conformazione che spicca e si staglia dalle colline dolci in modo verticale: una scoperta per la nostra disciplina, perché molto conforme al nostro tipo di installazioni e alla nostra pratica».
Come considera lo slackline, sport o disciplina?
«Non lo considererei uno sport, ma una disciplina, una pratica. Dal mio punto di vista sta diventando una sorta di lavoro: facciamo eventi, organizziamo spettacoli, workshop, il cui fine ultimo è la diffusione e condivisione di questo mondo che in Italia è ancora agli inizi. All’estero non è presente ovunque, ma in America, dov’è nata negli anni Ottanta tra gli arrampicatori nei giorni di pioggia in cui si annoiavano, la slackline è più diffusa».
E a livello di sicurezza come funziona?
«Tutto il sistema di installazione della slackline in altezza è ridondante, ossia c’è sempre qualcosa che copre il meccanismo principale nel caso dovesse saltare. Le fettucce su cui camminiamo sono due, una tesa, l’altra è la fettuccia di sicurezza. Noi siamo imbragati con una corda che passa attraverso questo due fettucce. Se cadiamo sotto la slack andiamo più in basso di un metro o un metro e mezzo. Con un po’ di atletismo ci rimettiamo su».
Quando fate pratica alla Pietra?
«Sabato 14 settembre: per avere informazioni è possibile contattare Slackline Bologna per unirsi a noi tramite Instagram. Siamo molto affezionati, alla Pietra, come detto: qui organizzavamo un evento annuale che negli ultimi anni contava oltre 300 persone da tutto il mondo per svolgere quest’attività. Purtroppo dopo il Covid per difficoltà varie non siamo più riusciti a farlo. Ci piacerebbe molto nei prossimi anni riprendere questa tradizione: un valore aggiunto per il territorio e la nostra pratica che vorremmo diffondere ancora di più in queste zone».