Gazzetta di Reggio

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La denuncia/3

«Oggi la medicina si sta trasformando in un fast food»

Serena Arbizzi
«Oggi la medicina si sta trasformando in un fast food»

L’attacco di Pieralli, presidente Snami, il sindacato nazionale autonomo dei medici italiani

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Reggio Emilia «Sono riusciti a rendere un ambiente inospitale la medicina generale, con l’abbandono del corso di formazione per andare nel privato».

Roberto Pieralli è presidente regionale dello Snami (il Sindacato Nazionale Autonomo dei Medici Italiani) e denuncia a gran voce l’odissea dei medici, che si complicherà dal 2025. «Da gennaio il medico dovrà assistere tanti pazienti e affiancare a questo altre ore di attività – afferma Pieralli –. Un medico che prende fino a 400 assistiti, ad esempio, dovrebbe pensare ai pazienti e al tempo stesso fare 38 ore di turni compresi le notti e festivi. Le ore calano man mano che crescono gli assistiti fino al limite di 1.500 pazienti a fronte di sei ore di attività, aggravate però dal fatto che possono comprendere le notti e ciò è inaffrontabile. Anche perché il lavoro non comprende solo la mera assistenza al paziente, ma anche tutte le operazioni burocratiche e la preparazione. Come per gli insegnanti, non ci sono solo le lezioni, ma anche i compiti da correggere a casa, e così via. Per noi non c’è solo l’ambulatorio, come invece ritiene la politica».

«La metà della popolazione medica, oggi, inoltre, è femminile – continua Pieralli –. Noi abbiamo i giovani medici iscritti al corso di formazione di medicina generale che lo stanno abbandonando: non vogliono più fare questo lavoro». La soluzione c’è secondo il presidente Snami: «Si valutino le attività realmente compatibili con il ciclo di scelta. Questo “mischione”, che prevede un ruolo unico, è impossibile da sostenere nel lungo periodo. Inoltre, ogni tre mesi vanno verificate le ore di lavoro. Anche per chi dovesse organizzare questo esercito di medici è complicato».

Reggio Emilia, nello specifico, «ha un problema già strutturato di carenze molto serio», specifica il sindacalista, «per cui l’Ausl ha creato i Nuclei di assistenza territoriale (Nat). Si perde la logica di una medicina delle cure primarie fatte di un rapporto diretto tra medico e paziente. Si va verso un sistema sullo stile del pronto soccorso e il Cau ne è il paradigma: vado e chi trovo, trovo. Diventa una sorta di “fast food”, mentre oggi abbiamo la trattoria, per continuare nella metafora, mentre stiamo andando verso un’industrializzazione per via di effetti diretti o indiretti delle politiche organizzative: da un lato pochi posti di formazione e d’altro lato un contratto di lavoro che non invoglia più nessuno. Non è più come una volta, quando facevi la gavetta e arrivato a un certo punto ti assestavi su una stabilità più tranquilla. Adesso sei in un frullatore: la settimana scorsa abbiamo discusso in Regione che quando tu pubblichi nuovi contratti del medico di famiglia, prima si sceglievano le ore o i pazienti. Ancora, adesso gli incarichi dipendono dalla densità abitativa. Per cui in città c’è un numero spropositato di ore di lavoro da fare, mentre nelle zone più periferiche dove la densità abitativa è bassa, ci si trova ad avere un numero di ore insufficiente».

«Questa situazione generale – puntualizza Pieralli – provoca sconforto e il risultato di un abbandono crescente del corso di formazione, insieme al trasferimento nel settore privato… Vedremo in ottobre quali posti prenderanno gli specializzandi: tutti i giovani sono in rivolta perché pensavano di fare un certo tipo di lavoro e stanno cambiando loro le carte in tavolo». 

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