Viaggio in zona stazione tra chi si arrende, vende e se ne va e chi prova a restare
Una residente: «Solo unendosi i problemi si risolvono». Il barista cinese: «Sono andato via: i reggiani devono insegnare ai nuovi le regole del vivere insieme»
Reggio Emilia «Ero a casa e sentivo gridare dalla strada ma subito non ci ho fatto caso. Qui, infatti, le grida sono all’ordine del giorno anche in considerazione del fatto che molti hanno la voce alta. Dopo un po’, però, mi sono affacciata alla finestra e ho visto il ragazzo sanguinante». È l’inizio del racconto di Dorotea Vitale, residente anche lei in via Ceva. La donna entra poi nei dettagli di un venerdì sera che non dimenticherà facilmente: «Non ho riconosciuto il ragazzo, onestamente da queste parti è in affitto tanta gente dall’aspetto simile e per di più non parlava neanche bene l’italiano – dichiara –. Ho visto che sanguinava al braccio e mi sono offerta di curarlo con l’acqua ossigenata. L’accoltellatore era già scappato. Ho consigliato alla ragazza di contattare il 118 ma erano scettici. Ho detto loro che la ferita avrebbe potuto fare infezione». Detto fatto, nel senso che a seguito della telefonata poco dopo la mezzanotte della 42enne i soccorsi sono arrivati: «Per me è stata una notte insonne, nel senso che tra il fatto e il susseguirsi di sirene di ambulanze e polizia non ho dormito». Dorotea è consapevole della zona in cui vive («Tempo fa al piano di sopra c’è stata una rissa tra coinquilini», precisa), ma non ne vuole sapere di arrendersi e andarsene: «In autunno ci sarà una manifestazione e tutti i reggiani dovranno partecipare – spiega –. È solo unendosi che i problemi possono essere risolti. Il Comune non ci vede e non ci sente: il sindaco di prima (Luca Vecchi, ndr) diceva che a Reggio non c’era criminalità, quello nuovo (Marco Massari) ha chiesto l’esercito, ma a cosa serve? Se non fanno nulla le forze dell’ordine, dubito potrà cambiare qualcosa. I malviventi si spostano da un posto e vengono in un altro. Non aspettiamo il morto prima di fare qualcosa».
Da via Ceva transita anche Hui Ping. Abita nella limitrofa via Monsignor Tondelli e sta andando al lavoro: gestisce infatti il bar al Grattaticelo. «Ho visto che caricavano in ambulanza il ferito e tutta la polizia qui per le indagini. Noi abbiamo venduto da poco l’appartamento: qui, infatti, non si può più vivere. Le finestre sono vecchie ed è un continuo di gente che urla. Le mie figlie sono grandi ma mio nipote viene spesso qua e non voglio che viva anche lui questa situazione. Qua c’è anche un problema di integrazione: non vivono più italiani ma così la stazione diventa un ghetto. I reggiani devono invece insegnare ai nuovi le regole del vivere insieme. Sono qui da 30 anni – conclude – ma la città è profondamente cambiata». © RIPRODUZIONE RISERVATA