Rubata in via Farini la bici unica costruita dall’ingegnere Panarari
«È troppo riconoscibile, sarà chiusa in un magazzino o già in un’altra città»
Reggio Emilia L’ennesimo furto di una bicicletta non farebbe notizia se l’oggetto dell’azione delinquenziale non fosse un esemplare unico di grande valore, progettato e costruito dall’ingegnere Zeno Panarari, che insegna nel corso serale dell’istituto reggiano “Leopoldo Nobili”. Una bici elettrica dalla linea originale e inconfondibile, che Panarari aveva affidato ad un’amica. Lo scorso martedì, dopo cena, lei l’ha parcheggiata nella lunga rastrelliera all’inizio di via Farini, sotto al Municipio, non senza prima averla chiusa con un normale lucchetto. Poco dopo le 22, i soliti ignoti l’hanno fatta sparire con l’abituale destrezza e rapidità, nonostante il luogo sia molto frequentato oltre che sorvegliato da telecamere. Finora nessuno dei passanti ha segnalato di avere notato movimenti sospetti. La pronta denuncia dell’accaduto alle forze dell’ordine non ha prodotto risultati. Né c’è da sperare che la bici ritorni a circolare nel centro storico. La si riconoscerebbe facilmente anche se la vistosa vernice arancione fluorescente (nella foto sopra i colori sono alterati) fosse stata coperta con uno strato nero. «È probabile – dice il proprietario con un tono sconsolato – che il ladro l’abbia venduta o cerchi di piazzarla in un’altra città. Nell’attesa la terrebbe chiuso in un magazzino. Se non riuscisse nell’intento potrebbe abbandonarla da qualche parte. In ogni caso ho presentato la segnalazione all’ufficio degli oggetti smarriti». Dal 1992 Panarari crea bici elettriche e motociclette, avendo collaborato con Italjet, Lambretta e Velocifero. L’anno scorso ha impegnato i suoi studenti nella trasformazione elettrica di una vecchia auto 500 di proprietà di un collega, dopo averla portata a Reggio guidandola da Catania. «Penso – riferisce – di condurre a termine il progetto quest’anno». Con il padre novantenne, ex artigiano, condivide la passione per i veicoli storici. «Nella zona delle Reggiane – spiega – avevo un’officina con una ricca collezione di circa 200 moto, una quindicina di auto e una trentina di bici. Avremmo voluto darle al Comune per farne un museo, ma non se n’è fatto nulla. Così abbiamo chiuso l’officina e disperso i pezzi in diversi luoghi».
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