La storia di Armonela arrivata dall’Albania: «Misi le bimbe sul gommone e scappammo dall’inferno»
Arrivata nel 1999, nel 2018 ha ottenuto la cittadinanza: «Piansi di gioia una volta italiana. Ius Scholae un’opportunità, ma bisogna controllare bene che chi arriva accetti le regole»
Reggio Emilia Armonela Jashari ha appena compiuto 50 anni ed è diventata nonna. Nel 1999 arrivò in Italia dopo avere messo le sue bambine su un gommone per fuggire dall’Acanvalbania.
Cos’accadde?
«Sono cresciuta con tanto malessere dentro. Quando avevo 16 anni mi sono innamorata e poi sposata. Ho avuto le prime due figlie in Albania, ma a quel punto mio marito si è trasformato divenendo come mio padre, che beveva molto e mi metteva le mani addosso. Ho sofferto tantissimo e ho cercato di tornare a casa, ma la mia famiglia mi incolpava per quello che succedeva: per loro, ero io che avevo voluto quel marito. Non capisco questi genitori che vedono le figlie soffrire e non intervengono, non prendono le parti. Questo non è amore. Aver cresciuto queste due bimbe mi ha dato una forza incredibile anche se ero spesso giù di morale, avevo male dappertutto. Ero intenzionata a non fare frequentare la scuola in Albania alle mie figlie».
Poi, cos’è successo?
«Detto, fatto. Ho preso il gommone con le mie figlie, una aveva 4 anni e mezzo e una 6. Abbiamo avuto molta paura perché eravamo in 40 persone, tanti bambini piangevano e loro continuavano a dire: “Mamma quando arriviamo?”. Siamo arrivate il 22 luglio 1999».
Cos’ha provato subito?
«Ho sofferto molto, mi mancavano mia mamma e mia sorella. Questa sofferenza non mi lasciava, ma mi dicevo: “Devo essere forte perché è quello che ho voluto. Devo cercare un lavoro e mandare le mie figlie a scuola". Grazie al cielo ho incontrato persone, a Reggio Emilia, bravissime, che mi hanno aiutato a iscrivere la più grande a scuola e l’altra all’asilo dove sono state accolte benissimo. Tutte le mattine mi alzavo con la forza di portarle a scuola perché pensavo che un giorno avrebbero fatto una vita diversa dalla mia».
Nel frattempo lei ha trovato una sistemazione per sè e le sue figlie.
«Ho trovato lavoro in una famiglia che mi ha accolto e aiutata tantissimo. Poi è arrivata la terza figlia e ha portato molto fortuna. Abbiamo trovato una casa da soli perché vivevamo da mio cognato, 12 persone in un appartamento, dormivamo in cinque su un divano letto. Terribile. Ho lavorato per 8 anni in regola da questa famiglia reggiana, facevo le pulizie. Loro andavano spesso in viaggio nel mondo e mi lasciavano le chiavi di casa e dell’allarme. Io gestivo tutto. Un giorno ho trovato un orecchino col diamante della signora, l’ho raccolto e lasciato sul tavolo. Lei mi ha ricompensata con 100 euro. Non li volevo, ma lei ha risposto: “Devi prenderli e andare a mangiare una pizza con le tue figlie”. Questo mi ha dato molta forza e sono stata contenta perché la fiducia è molto importante».
Cos’ha provato quando, nel 2018, ha saputo che sarebbe diventata reggiana?
«Ho ricevuto la telefonata dal Comune e mi sono commossa tantissimo. Ero al lavoro e la signora molto gentile ha detto: “Prendi carta e penna con tranquillità e scrivi quello che ti serve quando vieni qua”. Ho scritto malissimo e mi sono presentata quel giorno che non avevo niente di quello che serviva perché è stata un’emozione troppo forte. Stavamo aspettando da tanto ed è stata veramente una cosa bellissima. Ho perdonato chi mi ha fatto del male in passato e per il bene delle mie figlie, che mi danno tantissime soddisfazioni e si stanno realizzando nella vita».
Cosa pensa del dibattito sullo Ius Scholae?
«Sono d’accordo con quest’opportunità, ma bisogna controllare bene che chi arriva in Italia accetti le regole in vigore qui. Ci si deve integrare bene, non solo a parole, ma con il comportamento». © RIPRODUZIONE RISERVATA