L’amore, la speranza e l’orrore della guerra nelle lettere ritrovate del fante Brindani
Un libro restituisce la storia di un falegname di Bibbiano morto al fronte nel 1917: la moglie impazzì per il dolore
Bibbiano L’amore per la moglie Filomena, la nostalgia di casa e dei due figli piccoli, Argentina e Antonio, e l’orrore per la guerra che prende il sopravvento, nonostante i tentativi di trasmettere un’immagine di normalità. Giosafatte Nino Brindani era un uomo semplice, un falegname di Bibbiano con la quinta elementare. Ma nelle decine di lettere inviate dal fronte dell’Isonzo alla moglie Clelia Filomena Reverberi emerge una grande sensibilità, un animo anche poetico e soprattutto la lucida consapevolezza della follia nella quale si era trovato catapultato. «Qua ci mandano al macello come pecore…», scriveva in un momento di sconforto.
Il fante Brindani fu tra gli oltre 650mila italiani che non tornarono a casa durante la Prima Guerra Mondiale. La sua amata consorte impazzì letteralmente di dolore.
Ora, questa storia, sepolta insieme a decine di migliaia di altre, è tornata alla luce grazie a un ritrovamento casuale. Il nipote Franco Brindani, ex professore universitario a Parma e primo capitano in congedo, mentre restaurava un vecchio mobile ha rinvenuto tempo fa la corrispondenza del nonno: 193 tra lettere e cartoline postali scritte dal marzo 1916 all’agosto 1917 alla moglie. «Mio padre Antonio me ne aveva parlato, ma non le avevo mai viste», racconta il docente alla Gazzetta. Insieme alla figlia Francesca, neurologa con la passione per la storia, Brindani ha dato alle stampe il libro “Lettere a Filomena - Fronte dell’Isonzo marzo 1916 - settembre 1917”, che sarà presentato venerdì prossimo alle 18 all’auditorium Carlo Mattioli nel Palazzo del Governatore di Parma.
Gli autori hanno inserito questa corrispondenza in un contesto storico e cronologico che aiuta il lettore a comprendere le tribolazioni, le speranze e le disillusioni affrontate dal fante Giosafatte Brindani nel corso della sua esperienza bellica. Mesi nei quali ha convissuto con la paura della morte, ha visto un’intera compagnia di 250 soldati annientata dai gas austriaci e ha temuto di essere fucilato dopo aver assistito alla pratica della decimazione.
Le 77 lettere e 116 cartoline sono ricche di riferimenti a vicende domestiche: il falegname, ad esempio, si interessa della scrofa che a Bibbiano ha partorito, dà alcuni consigli su come allevarla o si dilunga sul prezzo del vino. A prevalere è dunque la voglia di normalità.
Talvolta, però, la malinconia prende il sopravvento e sulla carta resta impresso un pensiero d’amore: «Ti mando cento baci e li affido al vento». In mezzo a tanta cieca distruzione, c’è spazio anche per un moto di pietà nei confronti di un nemico, risparmiato perché in fin dei conti era anche lui un padre di famiglia.
In casa, il professor Brindani ha ritrovato tre foglie d’edera sulle quali il suo antenato aveva scritto dei messaggi. Uno di questi è una dedica alla moglie e ai due figli piccoli: «Affettuosi baci a te F. che sempre amerò. Baci a Tonino, baci all’Argentina dai piedi del monte S. Michele. Isonzo».
Sopravvissuto all’ecatombe delle battaglie della Bainsizza, il bibbianese perse la vita a causa di un bombardamento austriaco mentre si trovava nelle retrovie. Il 5 settembre 1917, nell’ospedaletto da campo 106, venne stilato il referto di morte. Quel giorno «mancava ai vivi in età d’anni trentadue il soldato Brindani Giosafatte del 37° Fanteria 1ª Compagnia al N° 10421 di matricola, nativo di Bibbiano, Provincia di Reggio E, figlio di Giacomo e di Brindani Regina, morto in seguito a ferita di scheggia di granata penetrante al cranio».
Il reggiano non riuscì a tornare a casa, come tanto aveva sperato, ma vi tornarono e ancora vi restano i suoi scritti, il suo amore e il suo ricordo che i suoi discendenti hanno voluto consegnare a tutti. «Filomena non accettò mai la morte del marito - si legge nel libro - e attese con fede incrollabile il suo ritorno, nonostante la comunicazione dell’avvenuto decesso. Nel 1923, vennero restituite le salme dei caduti per la tumulazione nel cimitero del paese». Da allora la povera donna iniziò a lasciarsi andare, tanto da essere ricoverata all’ospedale psichiatrico San Lazzaro nel 1928, dove trascorse la sua esistenza fino alla morte, avvenuta nel 1982. Anche lei, dunque, una delle tante vittime di guerra non conteggiate dalle statistiche. Una guerra assurda, come il fante Giosafatte non mancava di sottolineare il 3 agosto 1917: «Non mi sembra una guerra, perché non provo odio verso nessuno…».l
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