Il sindaco di Faenza: «Abbiamo strumenti vecchi e inadatti: noi facciamo da soli»
Massimo Isola sindaco disobbediente: «Lo schema messo in atto con la protezione civile e la struttura commissariale operano in un contesto vecchio»
Faenza «Andiamo da soli. Non possiamo più permettere che i cittadini non abbiano risposte veloci e adeguate all’enorme cambiamento climatico in atto e alle sue disastrose conseguenze». Sono ancora giorni concitati in Comune a Faenza dopo l’alluvione che per la terza volta in soli 16 mesi ha messo in ginocchio la comunità e in municipio è un susseguirsi di riunioni, ma anche di messaggi al primo cittadino, Massimo Isola, che dopo avere respirato la rabbia e la frustrazione dei cittadini, è uscito dal coro, rompendo le righe, per evidenziare la necessità di un assetto istituzionale più rapido e veloce nel rispondere alle calamità naturali e nel prevenirle. Proprio alla voce prevenzione si intende agire a Faenza: l’intento sarebbe creare una sorta di casse di espansione tra Borgo Durbecco e via San Martino, adiacenti al fiume Lamone, di cui uno degli affluenti, il Marzeno, ha contribuito per la maggior parte a creare la devastazione dell’ultima alluvione. Incontriamo il sindaco, che ha scritto appellandosi anche al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo ufficio, crocevia di una quotidianità che deve andare avanti, insieme alla gestione di un’emergenza che non può certamente attendere.
Sindaco, il suo messaggio è stato ribattezzato di “disobbedienza civile” e altri stanno seguendo il suo esempio: da cosa è scaturito e cosa sta producendo nella popolazione?
«Si tratta di un messaggio nato dalla realtà. I cittadini e la comunità di Faenza hanno vissuto direttamente un’esperienza drammatica e hanno capito bene che in Italia, e anche a Faenza, si sta cercando di affrontare il tema dell’emergenza e del cambiamento climatico con strumenti vecchi e inadatti. Sulle tre alluvioni in un anno e mezzo abbiamo costruito una risposta nella riconquista della città, ma non siamo riusciti a costruire una proposta credibile di messa in sicurezza da un lato, e di risposta ai cittadini che necessitano di un aiuto economico dall’altro. Non abbiamo ricevuto le risposte necessarie».
In che senso?
«Lo schema messo in atto con la protezione civile e la struttura commissariale operano in un contesto vecchio: pensiamo che la gestione dei fiumi in campagna è gestita sulla base di un decreto del 1904 che cita addirittura enti che non esistono più e ci impedisce di lavorare su quegli spazi strategici. La città ha detto basta. O gli altri livelli istituzionali accettano la nostra sfida di cambiare ritmo, snellire la burocrazia, di non aspettare tavoli su tavoli o dilatare tempi per rilasciare permessi, o piuttosto andiamo da soli e ci prendiamo responsabilità anche non nostre, ma almeno rispondiamo i cittadini. Sul tema delle risorse e dei ristori alla popolazione e la messa in sicurezza del territorio abbiamo fatto proposte mirate. Se ci altri ci seguono, bene: le realizzeremo in tempi più rapidi, altrimenti non possiamo più attendere».
A quanto ammontano i danni?
«Per ora è difficile fare la stima dei singoli numeri: sono oltre 250-300 le famiglie che abitano al piano terra e hanno avuto l’abitazione invasa dall’acqua, qualche centinaio sono invece le famiglie che si sono trovate di fronte all’acqua nelle cantine e nei garage. Per fortuna il numero delle imprese commerciali e artigianali è limitato, perché l’aggressione è avvenuta in uno spazio urbano. Ricordiamo, inoltre, che l’alluvione ha avuto nel quartiere del centro il suo elemento simbolico ma non si è verificata solo lì. Alcune vie, in campagna e non solo, per l’ennesima volta sono state inondate». © RIPRODUZIONE RISERVATA