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In Romagna tra i cittadini colpiti dalla terza alluvione: «Arrabbiati e dimenticati: nessuno canta più...»

Serena Arbizzi
In Romagna tra i cittadini colpiti dalla terza alluvione: «Arrabbiati e dimenticati: nessuno canta più...»

Al posto di “Romagna mia” un silenzio spettrale: «A Faenza in 16 mesi tre volte sott’acqua. Aiuti? Zero»

30 settembre 2024
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Faenza Sull’argine del Lamone è un viavai di carriole, di camion che si spostano da una casa all’altra per togliere acqua e detriti e di proprietari che si aiutano a vicenda per rialzare la testa prima possibile, ancora una volta. Non si sente più risuonare “Romagna mia”, come l’anno scorso, dopo la passata inondazione: le sue note lasciano il posto a un silenzio spettrale, rotto solo dalla rabbia dirompente di chi aveva già speso i propri risparmi per ricostruire quanto era andato perduto soltanto pochi mesi fa e che ora ha visto spazzate via le stesse cose, di nuovo. È stata la terza alluvione in sedici mesi quella che si è abbattuta nuovamente su Faenza, capitale internazionale della ceramica, costretta a fare i conti ancora con la forza dirompente dell’acqua che, anche stavolta, «è stata così forte da piegare persino la porta blindata appena sostituita», indica un cittadino mostrando l’ingresso di casa, a una manciata di metri dal fiume. Siamo a Borgo Durbecco, quartiere bersagliato dalla furia dell’inondazione: buona parte è chiusa dalle transenne ed è accessibile soltanto a piedi o ai mezzi della Protezione civile e di chi si sta rimboccando le maniche, animato da una volontà che va oltre qualsiasi soglia di pazienza e tenacia umane. L’acqua si è ritirata, anche se alcuni parchi e cortili sono ancora allagati, e ha reso ancora più evidente la sua forza distruttrice.

Questo mentre da Faenza si alza un grido di dolore: “Non siamo stati aiutati, lo Stato dov’è?”. Il luogo dell’alluvione non è più teatro di passerelle, come l’anno scorso, «quando tutti si facevano vedere per prometterci qualcosa. Adesso qui non viene più nessuno e i riflettori, accesi per convenienza politica, si stanno spegnendo». Via Cimatti sorge a ridosso dell’argine: alcuni operai impegnati nelle laboriose fasi delle pulizie fanno una pausa sotto il sole: «Meno male che oggi è una bella giornata, serve a dare un po’ di coraggio. Qui quando inizia a piovere si scatena il panico, la paura che possa succedere ancora, anche se è appena accaduto», esclamano. I lavoratori si riferiscono all’inondazione che ha devastato attività e case. In via Cimatti si trova un gioiello nazionale della lotta greco romana: la palestra Lucchesi, gestita da Olimpia Randi. Figlia di un olimpionico, Randi gestisce gli spazi che hanno ospitato talenti del calibro dei campioni Vincenzo Maenza e Andrea Minguzzi. E la palestra, così come la sala pesi, avrebbe dovuto riaprire i battenti proprio la settimana scorsa, precisamente, il giorno in cui l’alluvione se l’è ripresa, dopo che gli atleti, convivevano da tempo con il freddo, visto che la doccia con l’acqua calda dopo gli allenamenti era ormai un ricordo, per le conseguenze dei disastri precedenti che avevano già messo ko il riscaldamento. E ora si deve ripartire da capo. Un’altra volta.

«Avevamo pensato di andare via da questa palestra, anche se è centro tecnico nazionale di lotta greco romana – racconta Olimpia, mentre mostra alle sue spalle tutte le attrezzature che già per la terza volta ha provveduto a pulire dal fango –. Non ce la facciamo più ad andare avanti così, stiamo cercando un altro locale. Con tre alluvioni non è stato fatto nulla per chi sta in questa via. Non abbiamo ancora avuto alcun tipo di aiuto tranne per il tetto della palazzina bassa, quando l’acqua ha invaso i locali arrivando a 4 metri e 70. Dovevamo riaprire lunedì scorso la palestra e purtroppo è venuta l’alluvione la sera: la terza. I nostri ragazzi hanno sempre lavorato qui, facevano la doccia con l’acqua fredda, tutto l’anno scorso è andata avanti così. Si è messa in moto una grande catena solidarietà, ma i danni sono stati tanti: dovevano darci 900.000 euro, ma è stato fatto, appunto, solo il tetto. Stavamo facendo i bagni e il riscaldamento che non esiste più da due anni. Speriamo che con l’appello del sindaco arrivi la volta buona e si muova finalmente qualcuno». In palestra c’erano due tappeti cinesi per la lotta greco romana del valore di 36.000 euro. «Speriamo si possano salvare – conclude Olimpia –. Negli uffici avevamo appena cambiato i mobili e dalla seconda alluvione abbiamo riportato dentro solo le coppe che abbiamo trovato», dice Randi indicando i riconoscimenti impilati. Pochi metri più in là si arriva alla laterale di via Cimatti, via D’Azeglio, dove i residenti hanno esposto quanto più possibile al sole vestiti e mobili per asciugarli dal fango. Redamo Pirazzini è stato danneggiato tre volte in 16 mesi dalla furia devastatrice dell’acqua ed è intento a ripristinare garage e cantine.

«Stavolta, e sono tre, ha colpito la parte più bassa della casa con tutto ciò che c’era all’interno – racconta Redamo –. Mi ha portato via tutto, tranne le auto, che avevo fatto in tempo a mettere in salvo e alcuni attrezzi. Quanti danni ho subito dalle tre alluvioni? Nelle prime due siamo a cavallo dei 100.000 euro, tra auto, furgone e scooter, oltre a tutto l’appartamento al primo piano, rifatto dal massetto ai mobili, alle porte, tutto quanto. Non ci è arrivato niente, se si escludono i 5.000 euro dallo Stato per due auto, una di mia figlia, l’altra di mia moglie. E i mille perché mia suocera è stata sfollata. Del resto, ho fatto tutto da solo, con qualche amico che mi ha aiutato e artigiani che conosco. Io ho dormito in una brandina per otto mesi per lasciare il posto a mia suocera. Quello che ho potuto l’ho scaricato nel 730. Ma se non hai dei risparmi da parte ti trovi in mutande». «In tutto questo disastro, siamo riusciti a salvare le tartarughe», aggiunge Redamo, mostrando con orgoglio gli animali in cortile. Monica Ortelli è una ceramista: il suo laboratorio si trova in via Ragazzini, parallela di via D’Azeglio. La violenza dell’acqua ha inondato i forni con cui produce le sue creazioni, oltre a numerosi oggetti che ora dovrà tenere per sé perché a causa del fango non saranno più vendibili. «L'anno scorso dopo la seconda volta facevo fatica a esprimermi per il trauma: stavolta è un doppio trauma – racconta Monica –. Io avevo fiducia nel commissario straordinario, pensavo che muovesse mari e monti, spinto dalla competizione politica. Invece non hanno fatto niente. Ci siamo risollevati con le nostre forze e abbiamo finito tutti i nostri risparmi. Sono arrivati solo i 5.000 euro che hanno coperto solo pochi acconti». In più, Monica ha dovuto fare i conti con gli sciacalli: «Mi hanno rubato un tavolo con le panche. Quelli che usavo nelle fiere delle ceramiche. Non ho nemmeno la forza di fare l’inventario di tutti gli oggetti che ho perso. Ad esempio, il retro delle cornici, non ti viene in mente ma anche quello è stato danneggiato. Eravamo alle prese con la ripartenza dopo la seconda alluvione ed è arrivata la terza, che ha portato via anche la porta blindata e gli infissi. Non ci aspettavamo l’acqua così alta». l