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La testimonianza

Massimo Gazza, segretario Pd e insegnante: «Lo Stato non riconosce il ruolo di educatori»

Alessia Dalla Riva
Massimo Gazza, segretario Pd e insegnante: «Lo Stato non riconosce il ruolo di educatori»

Reggio Emilia: il docente è di ruolo da 20 anni

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Reggio Emilia «In Italia lo stipendio medio di un insegnante è mediamente al di sotto di circa 10 mila euro lordi l’anno rispetto alla media OCSE. L’inflazione dal 2009 al 2024 è cresciuta circa del 29% in Italia mentre gli aumenti contrattuali degli insegnanti nello stesso periodo sono stati del 14% circa. Dunque i salari dei docenti sono rimasti sotto del 15% rispetto al costo della vita».

Per Massimo Gazza, docente di ruolo da quasi 20 anni e insegnante di materie letterarie all’Istituto Tecnico I.I.S. Zanelli di Reggio Emilia (è anche segretario provinciale Pd) questi sono i veri dati di cui tener conto in questa fase di rinnovo contrattuale anche se il tema degli stipendi si accompagna a una visione più ampia del ruolo del docente nella società: «È la prospettiva che va radicalmente cambiata perché l’insegnante deve essere visto come un professionista della conoscenza e non solo: è un formatore, un educatore e ha dunque un ruolo importante in una società moderna. Oggi un docente deve possedere un bagaglio iper competenziale: competenze disciplinari, didattiche, sociali, educative, formative e digitali e la retribuzione deve essere allineata alla preparazione richiesta».

Secondo lei come deve essere valorizzato il ruolo degli insegnanti?

La competitività dello stipendio è essenziale per mantenere alta la qualità dell’istruzione e per l’attrattività stessa di chi sceglie di fare questo percorso. Sono decenni che gli insegnanti lavorano con i contratti scaduti. L’ultimo contratto approvato è del 2019-2021, attualmente siamo in vacanza contrattuale. Però non c’è solo quello. La valorizzazione della figura dell’insegnante dovrebbe prevedere come negli altri Paesi, un welfare territoriale, la formazione obbligatoria ai fini del riconoscimento del ruolo, la formazione permanente. È prima un problema culturale più che politico.

Cosa è cambiato oggi rispetto a quando è diventato insegnante lei?

«Io ho fatto una scelta convinta: terminata la laurea ho frequentato la scuola che al tempo durava due anni con cui sono entrato poi di ruolo. Il percorso era impegnativo. Il meccanismo di selezione quando ho iniziato era molto chiaro. Negli anni ci sono state continue modifiche e riforme. I percorsi devono essere chiari, trasparenti, selettivi, standardizzati e consolidati. Altrimenti i nuovi laureati che si vogliono avvicinare all’insegnamento trovano un panorama incerto. Invece il nostro Paese ha bisogno di avere dei laureati che vedono nel percorso che li avvicina alla scuola qualcosa di entusiasmante, di importante. Devono sentire che lo Stato crede nella scuola».

Fare l’insegnante oggi è un lavoro attrattivo?

«Tra un laureato impiegato a tempo indeterminato nella scuola e un laureato impiegato a tempo indeterminato fuori dalla scuola c’è uno sbilancio stipendiale medio del 70%. Il rischio è che molti non si avvicinino all’insegnamento. Quindi è anche una questione di attrattività delle competenze. La valorizzazione stipendiale ha anche questo valore che nel secolo scorso aveva e gradualmente si è perso. Per un lungo periodo, per più di 10 anni, non sono stati fatti gli adeguamenti contrattuali degli insegnanti».

Che cosa si augura per il futuro?

«Mi auguro di sentire vicino il mio datore di lavoro, cioè il Ministero. È importante per un insegnante, per un docente sentire che lo Stato consideri decisiva la scuola per la costruzione del futuro. Un insegnante vive molto anche dell’ingaggio emotivo e motivazionale. Far parte di un grande progetto di rilancio del Paese credo che significhi pensare all’insegnante non solo come a colui che va in aula ma anche a quello che partecipa alla definizione del futuro».