Gazzetta di Reggio

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L’intervista

«Crack, la nostra battaglia quotidiana per la riduzione del danno»

Massimo Sesena
«Crack, la nostra battaglia quotidiana per la riduzione del danno»

Fabio Salati racconta l’esperienza degli operatori della Papa Giovanni

22 ottobre 2024
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Reggio Emilia L’allarme lanciato dal sindaco di Reggio Marco Massari è di quelli che non possono lasciare indifferenti. Una delle cause del degrado che si è impadronito della zona della stazione “vecchia” è il crescente consumo di crack. La percezione qui non c’entra. Sono dati di fatto, confermati da chi quotidianamente è chiamato a fare i conti con questa situazione. Sul campo, tra viale IV Novembre, piazzale Marconi, via Turri, via Paradisi, via Eritrea e strade laterali, oltre alle forze dell’ordine, in attesa che si materializzi anche l’esercito chiesto dalla prefetta e dallo stesso sindaco Massari, ci sono anche gli operatori della Cooperativa Centro sociale Papa Giovanni XXIII.  «È vero – ammette Fabio Salati, presidente della “Papa Giovanni”– anche i nostri operatori che in stazione fanno parte delle Unità di prossimità hanno notato che il consumo di questa droga è aumentato molto, soprattutto in questi ultimi anni».

Perché c’è grande richiesta di questa droga a Reggio Emilia?
«La “forza” di questa droga, oggi, è sicuramente il prezzo. Una dose di crack costa meno della metà di una dose di cocaina, e questo la rende diffusissima. Il prezzo basso la rende anche la droga più utilizzata tra coloro che sono più ai margini, le persone più fragili. E questo non è un fenomeno soltanto reggiano: da anni questa droga sta dilagando in diverse città e non solo in Italia, ma in tutta Europa».

Reggio Emilia come Milano, Torino e Palermo, solo per citare alcune delle città che in questi mesi sono sui giornali anche per vicende legate al consumo di questa “coca in cristalli”.

«Non solo. La nostra cooperativa si sta confrontando con realtà omologhe alla nostra che operano a Berlino, dove si è passati dagli eroinomani ai dipendenti da crack».

A guardare la vita di certe persone in certe zone della città sembra di essere tornati agli anni 80, quando nelle piazze bivaccavano gli eroinomani...

«Con una differenza non di poco conto. Per quanto fossero anche loro portati a commettere reati per procurarsi la dose quotidiana, gli eroinomani, una volta che avevano assunto la dose che cercavano, diventavano quasi inoffensivi».

Con il crack, invece, cosa accade?

«Il crack è uno stimolante, aumenta l’aggressività, l’assuntore diventa violento e rispetto alla cocaina, da cui comunque è composto, ha un effetto molto limitato nel tempo, ma poiché crea quasi da subito dipendenza, l’intervallo di astinenza tollerata è sempre più breve e questo porta a un aumento esponenziale dell’aggressività di chi è alla ricerca di una nuova dose».

Il vostro ruolo di operatori in questa che assomiglia molto a una guerra persa in partenza qual è?

«In primo luogo, cerchiamo di mappare il territorio in cui ci muoviamo e la nostra è soprattutto una mappatura dei bisogni. Bisogni che, nel caso di queste persone che fanno uso di sostanze, non sono soltanto legate alla dipendenza, ma a veri e propri aspetti di sopravvivenza come reperire qualcosa da mangiare o trovare un tetto sotto il quale passare la notte».

Poi, come accade in questi casi, immagino vi occupiate anche della cosiddetta riduzione del danno, non è così?

«Certo e lo facciamo distribuendo siringhe sterili, ma anche coperte e generi alimentari. Proprio sulla base di un calo delle richieste di siringhe usate per iniettarsi l’eroina abbiamo fatto i conti con un aumento del consumo di crack e nell’ultimo anno abbiamo distribuito oltre duecento pipe sterili. E questo per evitare uno dei lati ancora più sudboli legati all’assunzione di questa sostanza. In assenza di pipe sterili , questa droga si fuma utilizzando colli di bottiglie di plastica e carta stagnola. Dal ritrovamento di molta carta stagnola abbiamo dedotto anche che è in aumento il consumo di eroina “fumata”».

Dai vostri contatti con gli operatori di altre città si possono prendere indicazioni per andare oltre la politica della riduzione del danno?

«Noi crediamo di sì. Abbiamo visto che a Berlino sono state create delle zone protette per la decompressione dagli effetti del crack».

Può spiegare in cosa consistono queste zone di decompressione?

«Zone in cui smaltire l’effetto della sostanza senza fare danni a se stessi o agli altri, zone in cui le persone possono anche ricevere aiuto e assistenza per rifocillarsi o ripararsi dal freddo».  © RIPRODUZIONE RISERVATA