Concorso esterno all’ndrangheta: la Dda chiede il rinvio a giudizio per gli ex sindaci di Brescello
Giuseppe Vezzani e Marcello Coffrini hanno amministrato il paese della Bassa dal 2004 al 2016, poi il Comune è stato sciolto per infiltrazioni mafiose
Brescello Hanno «contribuito concretamente», pur senza farne formalmente parte, al «rafforzamento, alla conservazione e alla realizzazione degli scopi del sodalizio ‘ndranghetistico autonomamente operante da anni nel territorio emiliano e in particolare nelle province di Reggio Emilia, Parma, Modena e Piacenza». Per questo la Dda (Direzione distrettuale antimafia), tramite il sostituto procuratore Beatrice Ronchi e il procuratore capo Giuseppe Amato, chiede il rinvio a giudizio per i due ex sindaci di Brescello, Giuseppe Vezzani e Marcello Coffrini, con l’accusa di concorso esterno alla ‘ndrangheta, come si legge nell’avviso di conclusione indagini.
Vezzani è stato primo cittadino di Brescello dal 13 giugno del 2004 fino al 6 giugno del 2009. Successivamente è stato rieletto dal giugno dello stesso anno fino alla primavera del 2014 con la lista civica Insieme per Brescello. Coffrini è stato componente della commissione consiliare urbanistica permanente presso il Comune dal 2004 al 2008, assessore con deleghe alla cultura, alla sicurezza e protezione civile nel 2008, e con deleghe all’urbanistica, all’edilizia privata all’ambiente, alla sicurezza e al commercio, dal 2009 al 2014. Coffrini è poi diventato sindaco dal 25 maggio 2014 fino al gennaio 2016 con la lista civica “Insieme per Brescello”. Secondo l’accusa i due ex sindaci «nello svolgimento degli incarichi e del mandato ricevuti» tutelavano gli interessi «del sodalizio mafioso o di alcuni esponenti (anche di vertice) così rafforzando la consorteria mafiosa e consentendone l’affermazione ed espansione sul territorio di Brescello e non solo».
Tra i vari comportamenti attribuiti dalla Dda ai due ex sindaci c’è l’assenza, deliberata, di iniziative nel contrasto dell’abusivismo edilizio, a fronte di accertati abusi edilizi e occupazioni demaniali abusive «attuati da soggetti contigui al sodalizio ‘ndranghetistico emiliano». Inoltre, consentivano l’affidamento di lavori pubblici a ditte del sodalizio ‘ndranghetistico, «in palese contrasto con il codice degli appalti pubblici». Appoggiavano pratiche amministrative volti «a favorire soggetti contigui al sodalizio ’ndranghetistico». E agivano per creare nell’opinione pubblica un’immagine di Francesco Grande Aracri (classe 1954), di Alfonso Diletto e dei loro parenti vicini al sodalizio ‘ndranghetistico, «quali soggetti puliti e per bene da integrare nel contesto della vita civile e imprenditoriale e amministrativa del Comune». Tutto questo, secondo la Dda, era volto a garantirsi nel tempo, «con radici già nel mandato precedente a quello del 2004, l’appoggio del bacino di elettori (non solo calabresi) controllati» dalla ’ndrangheta.
Quanto si legge nell’avviso di conclusioni indagini è attinto in buona parte dalla relazione prefettizia che nel 2016 portò al commissariamento del Comune di Brescello per il rischio di infiltrazioni mafiose, in seguito alle indagini sulla cosca Grande Aracri e al processo Aemilia. Marcello Coffrini è difeso dall’avvocato Mario L’Insalata (Foro di Parma), che ha rinunciato ad essere ascoltato dalla Dda prima dell’udienza preliminare, così come Giuseppe Vezzani, assistito dagli avvocati Alessio Fornaciari e Valeria Miari del Foro di Reggio Emilia. L’udienza preliminare è stata fissata per l’11 dicembre: il giudice Roberta Malavasi ha di fronte più possibilità. Tra queste, accogliere la richiesta di rinvio a giudizio, prosciogliere gli indagati o riformulare un nuovo capo d’imputazione. Nel caso il procedimento giudiziario prosegua, il processo si sposterebbe a Reggio Emilia. La richiesta di rinvio a giudizio riguarda anche altri indagati: Rosita e Salvatore Grande Aracri, Giuseppe e Albino Caruso, Devid Sassi, Mauro Usuardi, Claudio Bologna, Pascal Varano, Paolo Pucci e Leonardo Villirillo. l © RIPRODUZIONE RISERVATA