Il direttore di Aipo: «Alluvioni, l’assetto idraulico va rivoluzionato. Una delle prime azioni: allargare la distanza tra gli argini»
Gianluca Zanichelli parla delle nuove sfide climatiche dell’Agenzia Interregionale per il fiume Po: «Il nostro bilancio si basa su trasferimenti statali risalenti al 2002»
Reggio Emilia Dal 20 ottobre, giorno dell’alluvione che ha colpito la nostra provincia, i reggiani si interrogano su quanto accaduto e, soprattutto, su ciò che potrebbe succedere di nuovo. Il disastro di Valencia ha ulteriormente amplificato questi timori. Ne abbiamo parlato con Gianluca Zanichelli, direttore dell’Agenzia Interregionale per il fiume Po (Aipo).
Direttore, la popolazione si chiede: in che stato sono gli argini della nostra provincia?
«Durante la piena si sono comportati bene. Mi sarei aspettato fenomeni più gravi, perché quando un argine viene sormontato per molte ore, solitamente si rompe in più punti. In questo caso, il numero di rotture è stato limitato rispetto all’estensione chilometrica dei sormonti. Tuttavia, è importante ricordare che gli argini non sono progettati per resistere al sormonto».
Aipo ha gli strumenti per fronteggiare queste situazioni?
«La soluzione ideale sarebbe rivoluzionare completamente l’assetto idraulico e la difesa di questi corsi d’acqua. Ma è un intervento molto complesso, costoso e non sempre realizzabile».
Cosa bisognerebbe fare?
«Molti corsi d’acqua sono stati rettificati e costretti entro arginature strette molti decenni fa. Una delle prime azioni dovrebbe essere allargare la distanza tra gli argini, aumentando lo spazio per il deflusso. In alcuni casi, si potrebbero creare aree di laminazione controllata, ma ciò richiede di sacrificare terreni agricoli o urbanizzati».
Dunque i margini per queste vasche di laminazione sono ridotti?
«Sì. Tuttavia, ci sono zone dove interventi di questo tipo potrebbero essere valutati. Ad esempio, l’area tra il Cavo Cava e il Crostolo, tra Cadelbosco Sotto e Castelnovo Sotto, potrebbe essere studiata per diventare un invaso d’emergenza».
Aipo ha risorse adeguate?
«Il nostro bilancio si basa su trasferimenti statali risalenti al 2002, quando è avvenuto il passaggio da Magistrato per il Po ad Aipo. Questi fondi coprono spese di personale e manutenzione ordinaria. L’Emilia-Romagna, unica tra le regioni, ha integrato con risorse proprie: 5 milioni di euro nel 2023 e 3 milioni per il 2024».
Ma la manutenzione ordinaria non sembra sufficiente di fronte ai cambiamenti climatici. È d’accordo?
«Già in tempi non sospetti, insieme al presidente del Comitato d’Indirizzo, l’assessore Bottacin della Regione Veneto, abbiamo scritto ai Ministeri dell’Ambiente, delle Infrastrutture e della Protezione Civile per chiedere un aggiornamento delle risorse».
Alcuni cittadini e comitati hanno detto che Aipo non è all’altezza della sfida. Cosa risponde?
«Ogni anno pubblichiamo concorsi pubblici. Chi ritiene di avere le competenze per fare meglio è il benvenuto».
Anche il Comune di Reggio Emilia via ha chiesto maggiore condivisione nelle scelte dopo le polemiche sul taglio degli alberi nel Secchia.
«Quando si tocca la vegetazione, si tende a fare confusione, spesso partendo da pregiudizi ideologici. Non interveniamo a caso: tagliamo la vegetazione solo quando rappresenta un pericolo o limita la capacità di deflusso e invaso».
Teme che Aipo sia un comodo capro espiatorio?
«È capitato. Non si può però incolpare Aipo per una gestione idraulica che risale addirittura a secoli fa. Abbiamo ereditato arginature costruite centinaia di anni fa, spesso in posizioni non ottimali, e facciamo del nostro meglio per gestirle, in territorio tra l’altro molto urbanizzati».
E sui danni provocati dalle nutrie e altri animali fossori?
«Non abbiamo alcuna competenza».
Secondo lei, indipendentemente da Aipo, cosa è necessario fare per fronteggiare questi nuovi scenari?
«Alla difesa strutturale del suolo bisogna affiancare una forte capacità di reazione durante gli eventi, che a Valencia pare sia mancata, e un adattamento alle nuove condizioni climatiche. Serve migliorare la prevenzione e adottare scelte urbanistiche più responsabili, evitando nuove costruzioni in aree a rischio. Dove le infrastrutture esistono già, bisogna vigilare e gestirle con attenzione. Faccio un esempio: sottopassi e parcheggi interrati possono trasformarsi in trappole se non vengono chiusi tempestivamente». l
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